Cari Lettori, in un momento che ci vede impegnati a raccontarvi queste drammatiche giornate in cui ogni consolidata certezza viene messa in discussione dall’emergenza sanitaria, mai avremmo pensato di dover tornare a parlarvi di noi. Né tantomeno avremmo immaginato di doverlo fare proprio nella giornata in cui in tutto il mondo si celebra il Lavoro, un bene a maggior ragione adesso prezioso e delicato. Eppure sembra che quella della vostra e nostra Gazzetta sia una Via Crucis ancora lontana dal proprio epilogo.
Sin dalla notizia della restituzione del giornale al suo editore naturale, Mario Ciancio Sanfilippo, la Redazione espresse su queste pagine la propria soddisfazione per quella che sembrava la fine di un incubo, augurandosi però che il tutto dovesse coincidere con un ritorno alla normalità fatto di chiarezza sul futuro della testata, di strategie di rilancio, di discontinuità con un management che aveva portato tutta l’Azienda sull’orlo del baratro, per giunta continuando imperterrito a smantellare la rete della raccolta pubblicitaria proprio nel momento in cui le difficoltà comportate dal lockdown avrebbero dovuto suggerire a qualunque persona dotata di buon senso una strategia di maggiore “vicinanza” agli inserzionisti.
Nulla di tutto ciò è accaduto e, come se non bastasse, nessun rappresentante della famiglia Ciancio – componenti o delegati che fossero – ha avvertito la necessità di prendere contatti con le rappresentanze dei giornalisti, dei poligrafici né con la direzione per palesare le proprie intenzioni, anche alla luce di un concordato presentato e poi ritirato dalla Denver del socio di minoranza Valter Mainetti, il cui inatteso disimpegno dalle sorti del giornale ha messo sotto una spada di Damocle non solo i dipendenti, ma soprattutto oltre 130 anni di storia dell’informazione in Puglia e Basilicata.
Un silenzio quasi assoluto, spiegato a mezza voce con la necessità di dover attendere la notifica del provvedimento che annullava il sequestro dei beni dell’editore. Un cavillo tecnico che è necessario ricordare, perché sembra quasi in stretto collegamento con gli ultimi, recentissimi accadimenti.
Nella giornata di mercoledì 29 aprile, il Consiglio d’amministrazione della Edisud SpA ha convocato l’assemblea dei soci per rassegnare le proprie dimissioni: un atto dovuto per consentire alla proprietà, finalmente libera da vincoli, di rinnovare l’organo di governo della società editrice e rimettersi in pista.
Purtroppo nulla di tutto ciò è accaduto, poiché la validità della convocazione – ecco l’altro cavillo tecnico – è stata contestata in quanto partita da un soggetto non titolato (il presidente del CdA in luogo dell’intero consiglio), cosicché l’assemblea – alla quale la famiglia Ciancio è intervenuta delegando un proprio legale di fiducia, l’avvocato Vito Branca – si è conclusa con il solo atto delle dimissioni dei vecchi consiglieri, senza alcuna nomina sostitutiva, (ma solo con la prorogatio di legge dei consiglieri cessati, avallata ieri dal Tribunale di Catania) e con un Collegio sindacale (Giuseppe Giarlotta, Manuela Puglisi, Michele Micale, Giuseppe Tomasello e Massimo Currò), che poi nel corso della serata, anzi, fino alla notte di mercoledì, ha visto dimissionari tre quinti dei suoi componenti, a cominciare dal presidente Giuseppe Giarlotta.
Una vicenda complessa che, purtroppo, non riguarda solo tecnicismi legali. Non appare infatti come un semplice dettaglio che la contestazione sul difetto di convocazione sia stata sollevata solo nel caso della Edisud, mentre per altre società della galassia Ciancio – le cui assemblee sono state convocate nei giorni precedenti e nello stesso modo – nessuno abbia eccepito e si sia regolarmente proceduto al rinnovo delle cariche sociali.
Di fatto, la situazione venutasi a creare – e successivamente recuperata in extremis dallo stesso Tribunale di Catania – ci appare come una volontà di disimpegnarsi, abbandonando il quotidiano al suo destino, senza nemmeno la garanzia di un organo di gestione legittimo e legittimato, ma casomai affidando tutto solo alla buona volontà di qualche solerte quadro amministrativo privo di qualunque capacità decisionale oltre che di competenze manageriali.
E anche in questo caso, a fare da contorno in questa vicenda è ancora il silenzio assoluto, rotto solo dalle apparizioni di nuovi, sfuggenti soggetti delegati dalla famiglia Ciancio a curare i propri interessi, che a questo punto, cari Lettori ci sembrano divergere dal vostro interesse a essere informati e dal nostro a continuare a farlo.
In un’epoca in cui l’intera categoria è impegnata a combattere contro il cancro delle cosiddette fake news, non ci piace correre appresso a voci di corridoio, eppure non possiamo fare a meno di notare come i siti siciliani di informazione riportino la notizia del rinnovo dei CdA del gruppo Ciancio, in molti casi anche con l’inserimento di personaggi di alto profilo.
Cosa che invece non accade ancora per la Gazzetta del Mezzogiorno, per la quale, invece, gli stessi organi d’informazione ipotizzano addirittura che si valuti già da tempo “la dismissione delle quote, anche a prezzi simbolici, per controbilanciare l’indebitamento e il costo del personale”.
Indiscrezioni che fino a questo momento non trovano conferme né smentite, ma che suonano come un sonoro ceffone alla storia e alla cultura delle nostre due regioni, dei loro amministratori e anche di quei magistrati, siciliani e pugliesi, che pur nel rispetto delle leggi hanno seguito le nostre sorti nella consapevolezza che un’impresa editoriale non sia un’azienda qualunque e che in quanto tale sia portatrice di un bene costituzionalmente garantito.
Ci sarebbe piaciuto poter finalmente tornare a confrontarci con un editore diverso da quello nominato dal Tribunale, che fino ad oggi ci ha amministrati “senza portafoglio” e con le mani legate su molti aspetti che sono invece necessari per la vita di un’impresa. I lavoratori tutti della Gazzetta hanno affrontato numerosi sacrifici accettando responsabilmente di rinunciare a parte delle retribuzioni pur di salvare il giornale e sono tutt’oggi creditori di retribuzioni e altre spettanze non corrisposte per importi non proprio insignificanti, anzi.
A fronte di tutto ciò, sarebbe stato lecito aspettarsi una manifestazione di gratitudine, delle rassicurazioni che la famiglia Ciancio non ha mai espresso, continuando anzi ad avere nei confronti dei dipendenti una considerazione degna dell’epoca feudale che a questo punto suona intollerabile e offensiva, non meno dell’atteggiamento a suo tempo assunto dal direttore generale Capparelli, del quale abbiamo più volte chiesto il definitivo allontanamento dall’Azienda, senza mai ottenerlo del tutto.
Ora l’editore Ciancio Sanfilippo dica chiaramente quali sono le sue intenzioni: se vorrà rilanciare la testata troverà tutta la piena collaborazione dei lavoratori; se però intende abbandonarla al proprio destino, si esprima chiaramente e sia pronto ad affrontare ogni legittima forma di lotta perché se il capitano ha deciso di abbandonare la nave e l’equipaggio, nessuno starà con le braccia conserte ad aspettare il naufragio. E nessuno consentirà che sulla propria pelle si giochino partite diverse dalla salvaguardia dell’informazione in Puglia e Basilicata. Siamo giornalisti, non agnelli sacrificali.
E’tempo di agire e lo diciamo a tutte le parti sociali in campo, affinché questo nuovo momento difficile nella vita del giornale non si trasformi nell’ennesima, sterile passerella. Il tempo della solidarietà affidata ai comunicati stampa è terminato.
Comitato di Redazione
“Gazzetta del Mezzogiorno”