Suscita sconcerto e allarme, nel sindacato dei giornalisti pugliesi, la sentenza con la quale il giudice del tribunale di Potenza ha condannato due giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno per aver diffamato un magistrato in servizio a Taranto, soltanto perché citato in due articoli riguardanti un concorso universitario che vedeva tra i concorrenti sua moglie.
Il giudice del tribunale di Potenza, Gerardina Romaniello, ha inteso così far passare – sottolinea l’Associazione della Stampa di Puglia – un principio che il sindacato dei giornalisti e tutti coloro i quali hanno a cuore la libertà di stampa non possono proprio accettare, ovvero che non si può parlare dei magistrati.
In base alle motivazioni della sentenza di condanna, infatti, i due colleghi avrebbero sbagliato a citare il magistrato in quanto la vicenda che riguardava sua moglie “non aveva interesse pubblico”.
Eppure – prosegue l’Assostampa – già il solo trasferimento dell’inchiesta ad un Tribunale diverso da quello di Taranto, dove esercitava ruolo il magistrato in questione e dove era avvenuto il concorso oggetto dell’indagine, dovrebbe far riflettere sull’interesse pubblico che tale vicenda riveste in virtù delle relazioni familiari ad essa sottese e sul diritto di cronaca esercitato dai colleghi a tutela della più completa informazione dei cittadini pugliesi su questioni che attengono la magistratura come qualsiasi altra istituzione dello Stato.
La difesa corporativa che, invece, emerge da tale sentenza – conclude l’Assostampa – non può passare sotto silenzio e, siamo sicuri, troverà spazio per chiarimenti nell’inevitabile processo d’appello, giacché nessuno – tanto meno i magistrati – possono o debbono sentirsi immuni dal diritto di cronaca e dal diritto di verifica di quanto fanno.