Moderatore
Allora iniziamo la sessione pomeridiana del nostro congresso e iniziamo innanzitutto con il messaggio che il presidente della Regione Michele Emiliano ci ha mandato, anche lui come Mario Loizzo, impegnato nella sessione per …
Allora scrive Michele Emiliano: “L’approvazione delle variazioni di bilancio in Consiglio regionale, che fra l’altro serviranno a mettere in sicurezza i conti della sanità, mi costringono a non poter intervenire ai lavori del vostro congresso regionale, come invece avrei desiderato.
Ringraziando per l’invito e salutando i delegati e i dirigenti del sindacato dei giornalisti, affido a queste righe gli auguri di buon lavoro, che mai come in questo caso non sono retorici.
Sono al corrente delle difficoltà che molte testate hanno attraversato e continuano ad attraversare, e seguo con attenzione le notizie che vedono riduzioni di stipendi e tagli delle collaborazioni anche a testate storiche e ben radicate della nostra regione, così come le vertenze che sono approdate ai vari tavoli regionali e nazionali, a volte con esisti infausti, a volte contraddittori.
Compito della Regione è intervenire, per quanto possibile, per facilitare la risoluzione delle vertenze, salvaguardando tutti i livelli occupazionali e favorendo lo sviluppo delle aziende esistenti, e di nuove iniziative che poggino su basi certe e non sulla pirateria dell’ultimo momento, tendente magari ad incassare pubbliche provvidenze per poi chiudere quando il vascello varato senza cautele dovesse imbattersi in mari pericolosi. E soprattutto fare in modo che quel grande patrimonio culturale, plurale e diffuso, rappresentato dalla stampa pugliese, continui ad essere il presidio autorevole e presente che è sempre stato per la nostra comunità secondo i principi e i valori garantiti dalla nostra Costituzione.
Come presidente mi impegno a tutelare il bene immateriale delicato del diritto ad un’informazione libera e liberata da ogni minaccia, l’Assostampa di Puglia mi vedrà schierato al suo fianco nelle battaglie per un’informazione senza paura. Vi auguro buon lavoro”, e questo è Michele Emiliano. Poi ovviamente anche a lui chiederemo conto di questi impegni, perché poi dice che c’è un impegno, poi gliene chiedo ragione insomma.
Allora per quanto riguarda l’inizio di questo pomeriggio, io direi che inizierei subito dando la parola al presidente della Casagit, Daniele Cerrato, subito dopo c’è l’intervento – se è d’accordo ovviamente, del resto è stato chiamato in causa anche in maniera precisa e puntuale nella relazione di stamane – il presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia Valentino Losito. La parola a Cerrato, grazie.
Daniele CERRATO (l’inizio dell’intervento è effettuato senza l’uso del microfono)
… io ho cercato di vedere quali erano, tradotte nel .., quali erano le nostre emergenze, noi nel periodo di riferimento … di come si è evoluta la situazione negli ultimi cinque anni, in quel periodo noi abbiamo perso sette milioni di euro annui, sette milioni di euro sui contrattualizzati, i contributi da contrattualizzare. … e abbiamo sempre nello stesso periodo visto aumentare la spesa sanitaria di cinque milioni di euro, quindi uno sbilancio complessivo importante. Questo è il tema rispetto al quale abbiamo cercato e stiamo realizzando una manovra …, una manovra correttiva, una manovra che avrà un impatto molto … e un impatto spalmato per tutti i colleghi, un impatto.. molto sopportabile, ma un impatto che … quel capitale che è quella riserva tecnica che abbiamo creato negli ultimi sei anni, nel 2009 noi non avevamo .. abbiamo preso una Casagit che si trovava in una condizione di assoluto .. Oggi noi abbiamo 35 milioni di riserva tecnica…
Potremmo anche dire “avendo quella situazione … ancora negativamente per qualche anno e poi eventualmente faremo degli interventi, ma ci ritroveremo poi a dover fare degli interventi importanti, degli interventi come è stato fatto in passato, nei primi vent’anni della …
Nei primi vent’anni della Casagit è successo che in alcune stagioni sia stato necessario fare dei tagli importanti a delle prestazioni, però c’era sempre una speranza, che oggi è quella più difficile e più fragile, c’era la speranza che successivamente un contratto, un contratto giornalistico ricco potesse riportare delle energie all’interno del sistema, oggi questa speranza noi non ce l’abbiamo, oggi abbiamo la speranza di un contratto che includa, e su questo sono speranzoso e assolutamente confidente che riusciremo anche mettendoci la Casagit dentro ad aumentare il tasso di inclusione, però attenzione: noi ci ritroviamo nella condizione d’essere sulla punta di un percorso, come se fosse una montagna, dove da qui in poi tutti quelli che verranno assunti, tutti quelli che avranno una stabilizzazione contrattuale, avranno un’aspettativa retributiva nel corso della loro carriera che non è paragonabile a quella di chi li ha preceduti. Se voi aggiungere questo elemento, che poi si traduce in contributi alla Casagit e all’Inpgi, se aggiungete questo elemento al fatto che sentivo prima nel messaggio del presidente della Regione lui sta lavorando in questo momento per dare stabilità alla sanità pubblica, voi sapete la stabilità della sanità pubblica la leggiamo e la scriviamo sui giornali, è una stabilità difficilissima, è un arretramento continuo, il fatto che negli ultimi cinque anni noi abbiamo avuto una crescita di prestazioni così importanti, su 70 milioni che noi oggi eroghiamo, avercene cinque in più è importante se in un arco di cinque anni, significa che noi abbiamo una tendenza a veder crescere le prestazioni in modo sostitutivo rispetto al servizio sanitario nazionale, quando la Casagit è nata quarant’anni fa era una cassa integrativa, serviva a dare quello che il servizio sanitario nazionale non produceva, non dava, oggi è al 54% una cassa sostitutiva, noi sostituiamo il servizio sanitario nazionale perché? Perché le prestazioni ci vengono posticipate, quelle soprattutto programmabili, ci vengono posticipate così tanto che a quel punto giustamente chi ha la Casagit la utilizza.
Questo elemento non è un elemento momentaneo, è un elemento strutturale, è un elemento che ci ritroveremo il prossimo anno ancora più forte di quello che abbiamo visto in questo anno, perché altre 208 prestazioni verranno limitate, come avrete visto, verranno limitate su decisione del Ministero della Sanità. Poi ci sono le tante declinazioni, perché ci sono ancora delle sanità e delle regioni nelle quali la sanità pubblica funziona, riesce ad essere sufficientemente efficace, soprattutto le piccole regioni, quando guardo i numeri dell’efficienza della sanità in Umbria è un paradiso, praticamente noi non abbiamo bisogno in Umbria di avere delle cliniche, sì ci sono un paio di convenzioni ma non ce n’è bisogno, se poi però portiamo questa situazione dove ci sono le grandi città, dove c’è il maggior numero di giornalisti, e poi lo portiamo su Roma e su Milano, vediamo che la situazione è assolutamente capovolta. Noi abbiamo necessità di preservare quel patrimonio e darci cinque anni di tempo per fare altre cose che abbiamo già iniziato a fare, noi abbiamo già iniziato dandoci una società, creandoci una s.r.l. chiamata Casagit Servizi e abbiamo già iniziato a fare delle attività esterne rispetto al perimetro dei giornalisti, utilizzando quella buona nomea che la Casagit ha sempre avuto, di essere un po’ il fondo sanitario più performante, abbiamo fatto un primo accordo con Confcommercio, la più grande organizzazione datoriale che ci sia in Italia, e questo primo accordo ci ha consentito di mettere a loro disposizione, di fare per loro un mestiere che loro peraltro avrebbero potuto fare con altri soggetti interni a Confcommercio, perché Confcommercio ha un fondo per i quadri, il Cuas, ha un fondo per i dipendenti della Confcommercio del commercio che è il fondo Est, e poi ha un fondo per i dirigenti della Confcommercio, mancava un fondo per i titolari degli esercizi commerciali che voi immagino, essendo questa una regione molto commerciale, con una forte presenza di Confcommercio, immaginerete quanti sono, vanno dall’azienda che ha un solo titolare che esercisce l’azienda stessa, a quella che ha anche dei dipendenti. Noi abbiamo realizzato per loro quel fondo, non solo a Roma, abbiamo iniziato a Roma e vogliamo portare lo stesso modello anche a Milano, stiamo realizzando a Roma un poliambulatorio che è al piano di sopra rispetto al poliambulatorio dedicato ai nostri colleghi, 360 metri quadri, undici ambulatori più la Rx, la Moc, il laboratorio di analisi, questo lo rivolgiamo a tutti i professionisti italiani, per restare anche qui all’interno di un perimetro che è quello che già questa mattina vi descriveva Andrea Camporese in qualità di presidente dell’Adepp, ed è il perimetro dell’Adepp. Stiamo cercando di fare delle cose fuori per portare dei soldi dentro, dentro al nostro sistema, se no il nostro sistema non ce la fa a reggere.
Quello che mi preoccupa in questo momento e peraltro nei prossimi mesi, noi avremo oggi ci sono i dati riferiti alla votazione sul fondo complementare, poi toccherà all’Inpgi, poi toccherà all’Ordine, quello che mi preoccupa in questo momento è far cogliere in modo netto, in modo chiaro, alle nostre controparti, che sono due, Federazione degli Editori e politica, far cogliere un senso di unità della nostra categoria, non quello che stiamo vedendo in più e più occasioni, una litigiosità crescente, se noi continuiamo a dare spettacolo con questa litigiosità per avere un minimo di visibilità personale e ognuno farsi la sua piccola o grande campagna elettorale, noi ci presentiamo al confronto con gli editori, al confronto con la politica, deboli, spaccati.
Quest’ultimo sussulto da parte dell’ordine, quando io penso all’ordine faccio sempre un esempio: immaginate due stadi completamente diversi, uno è il più grande stadio del mondo, lo stadio Azteca di Città del Messico, 110.000 posti a sedere, quello è l’ordine, il nostro sistema – Casagit, Inpgi – si regge sullo stadio San Vito di Cosenza, 15.900 posti a sedere, questo è il paragone. Il nostro sistema Casagit si regge sul fatto che i contrattualizzati hanno un assorbimento medio di prestazioni rispetto a quanto mettono a disposizione del sistema del 53%, quindi il 47 che rimane serve a ristorare tutte le altre famiglie di iscritti alla Casagit, ed è evidente che i pensionati, i pensionati ex Inpgi, quando vanno in pensione necessitano, perché sono in una stagione della vita in cui c’è bisogno di maggiore attenzione alla salute, necessitano di un prelievo rispetto alla Casagit di energie ben più ampio, infatti si parla del 150% rispetto a quello che mettono a disposizione, perché mettono a disposizione soltanto il loro contributo, viene a mancare quell’1% importante dell’editore, e in più c’è questo elemento diciamo stagionale. Allora se noi non interveniamo includendo un numero maggiore di colleghi, aumentando, come abbiamo visto gli ultimi dati, questi 300 in più sono una speranza, sono una speranza che però va a consolidarsi con delle regole differenti, una speranza che non avrà mai la speranza a sua volta di avere gli stessi stipendi, dopo vent’anni, che hanno avuto quelli che hanno lasciato il posto. Pensate, i primi esercizi che ci imponevano i calcoli attuariali dicevano che il nostro era un sistema perfetto, dove usciva un collega o una collega, entrava un collega o una collega, noi abbiamo visto che ne uscivano cinque, sei, dieci, e ne entrava quando andava bene uno, questa pressione sui prepensionamenti è una pressione che il sistema non è in grado di reggere, non è in grado di reggerlo il sistema paese, non è in grado di reggerlo il nostro sistema che all’interno di questo sistema è una parte pregiata.
Quindi, come esortazione – mi avvio a concludere – come esortazione noi abbiamo bisogno, c’erano due o tre punti che ho visto prima, abbiamo bisogno di dare una sensazione di solidità all’esterno che non sia soltanto una solidità di facciata, ma sia una solidità vera, Raffaele sta in questo momento iniziando una delle trattative credo più difficili degli ultimi anni sotto il profilo contrattuale, ogni volta che andiamo a trattare con gli editori ci diciamo “questa volta è più dura della volta prima, questo mercato è più difficile del mercato che abbiamo lasciato fino a pochi anni fa”, questa volta come le altre volte è assolutamente vero, l’ultimo contratto fu un contratto fortemente contestato sotto tanti aspetti, era l’unico contratto che si poteva portare a casa, se si voleva un contratto. Oggi la tendenza nel mondo degli editori è quella di spingerci verso piccoli contratti, allora la RAI, io sono un giornalista della RAI, la RAI farà un contratto importante perché ha 1.800 giornalisti, perché ha un suo sindacato dedicato che è organismo di base del FNSI e riuscirà a farlo, ma il piccolo giornale con venti, trenta, quaranta, cinquanta giornalisti cosa farà? Che razza di contratto potrà portare a casa? Che razza di contributi potranno arrivare da quella collettività a tutto il nostro mondo che si deve reggere, evidentemente si deve reggere su questi.
Un ultimo elemento, quest’anno, anzi nel 2014 noi per la prima volta abbiamo visto nei conti della Casagit che la parte specialistica, cioè le visite specialistiche, più la diagnostica, superavano nei costi la prima voce, quella tradizionalmente da sempre la prima voce cioè i ricoveri. Questa è un’inversione dei fattori che noi fino adesso abbiamo analizzato ed è un’inversione portata proprio dall’arretramento del servizio sanitario nazionale, su quelle prestazioni che uno non vuole rimandare, se uno necessita di fare un intervento al ginocchio non è un intervento salvavita, però ha male al ginocchio e cammina male. Se gli viene mandato questo intervento, gli viene programmato a sei mesi, otto mesi, cercherà un posto giustamente dove farlo, il giorno dopo, la settimana dopo, per risolvere il problema con il quale si sta confrontando.
Quindi le speranze di oggi, anche rispetto al contratto, sono differenti rispetto alle speranze che avevamo ieri, non possiamo aspettarci un contratto che metta a posto i conti della Casagit e un contratto che metta a posto i conti dell’Inpgi, possiamo e dobbiamo aspettarci un contratto realistico e soprattutto avere nei confronti del nostro mondo quel rispetto realistico che ci porta ad essere uniti e forti, non divisi e deboli. Buon congresso, grazie.
Moderatore
Grazie a Daniele Cerrato, che ha posto una serie di questioni devo dire. Oggi ho sentito molto un richiamo alla realtà, che forse troppo spesso ci perdiamo, con toni diversi e modalità diverse però purtroppo troppo spesso la nostra categoria credo abbia una dimensione del reale che sfugge, nonostante viviamo per strada tutti i giorni poi alla fine un po’ si perde.
Adesso io darei la parola a Valentino Losito, presidente dell’Ordine dei Giornalisti, che è un po’ stadio Azteca, però fatto dalla filiale di Bari, quindi insomma ruolo non semplicissimo.
Valentino LOSITO
Ma nella mia memoria calcistica c’è il vecchio campo della mia Bitonto, rispetto al quale il San Vito di Cosenza è un Azteca. Grazie e un saluto a tutti, a ognuno di voi, grazie naturalmente per questo invito. Grazie a Raffaele Lorusso per quello che ha fatto per tanti anni qui da noi in Puglia, e per quello che con il suo consueto rigore e la sua consueta lucidità sta facendo a Roma. Un saluto al presidente Cerrato, un saluto particolarmente affettuoso a Felice Salvati, Adelmo Gaetani, nostri consiglieri nazionali, mi scusino le altre figure apicali – ove ve ne siano in sala – e comunque un saluto anche a loro.
Domani, se mi passate questo paragone un po’ irriverente, si apre per me, per questo Consiglio eletto nel maggio 2013, il nostro semestre bianco, nel senso che ci avviamo a quelli che saranno gli ultimi sei o sette mesi, se ci sarà – come circola in queste ore – l’eventualità di una piccola proroga che agganci il rinnovo delle elezioni con la auspicata nuova legge. E comunque in questi quasi tre anni di attività, come avemmo modo di dire con gli altri colleghi, la stella polare nel nostro lavoro è stata, abbiamo cercato che fosse la difesa della dignità della professione e di quanti effettivamente la svolgono, le parole sono importanti, le parole sono pietre, ma sono particolarmente importanti se sono il simbolo di fatti. Perché la convinzione che mi guida e ci guida è che l’ordine, come il sindacato, come tutti gli organismi di categoria, l’Inpgi, Casagit e quant’altro, hanno una natura per così dire e una funzione strumentale, cioè hanno un senso, l’ordine, il sindacato e gli altri organismi hanno un senso se servono ai colleghi e alla categoria, e non se servono alle strutture e alla loro autoconservazione. Quindi la stella polare è la professione, è il servizio ai colleghi, tutto è strumentale.
Avendo io compiuto un po’ di anni fa gli studi classici, mi porto nella mia memoria quell’ammonimento latino che “nomina sunt conseguentia rerum”, per cui quando ho iniziato ad assumere la mia responsabilità di presidente dell’Ordine dei Giornalisti – ecco perché le parole sono importanti – pensavo e penso di essere appunto, di questo non vi ringrazierò mai abbastanza perché lo ritengo un grande onore oltre che un segno del vostro affetto, di essere appunto il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, e invece in questi anni abbiamo scoperto che, in Puglia ma non solo in Puglia, all’Ordine sono iscritti i giornalisti professionisti, sono iscritti i pubblicisti, quali vengono definiti dalla legge, coloro cioè che pur svolgendo altra attività svolgono quella giornalistica in modo non occasionale e retribuito, e poi vi è una figura altra, una figura terza, che prendendo in prestito un battuta di Totò definiremmo “gli iscritti a prescindere”. Ora, siccome Leo Longanesi definiva il nostro Paese, e non parlava di tennis, anche se usava questo linguaggio, definiva il nostro paese la patria del diritto e del rovescio.
Allora noi abbiamo come Consiglio pensato dio applicare la legge istitutiva, che è l’altra stella polare che ci guida, e però – scusatemi questo gioco di parole – per rispettare il diritto bisognava mettere in campo anche qualche poderoso rovescio, cioè rovesciare una consolidata pratica che per molti anni ha ignorato sistematicamente una parte della legge istitutiva dell’ordine che riguarda a riguarda la sua revisione. Perché, colleghi, l’applicazione della legge istitutiva dell’ordine non può essere un’applicazione per così dire a geometria variabile, nel senso che la si applica in entrata, ed è giusto che sia così, oddio anche su questo si potrebbe a lungo discettare, ma noi ammettiamo in entrata al nostro ordine coloro che dimostrano di essere in regola con i criteri che presiedono appunto l’iscrizione all’ordine. Però questa legge che viene osservata in modo rigoroso in entrata, in uscita viene ignorata e quindi, siccome si tratta di una legge, questa è una violazione della legge stessa, perché anche qui le cose le dobbiamo chiamare con il loro nome. E quindi, qui in Puglia, come in qualche altra sparuta realtà, abbiamo preso questa, in Italia, scandalosa decisione, di applicare la legge, perché il grande scandalo è questo, quando si applica la legge, con le conseguenze, diciamo, note più o meno a tutti, e in questo consentitemi di ringraziare, anche se non c’è, di ringraziare Gianfranco Sumo, consiglieri, che su questo tema si è speso tantissimo. Perché, colleghi? Perché io credo che ancora prima della deontologia professionale, che come ordine siamo chiamati a far rispettare, colleghi, c’è anche, prima di una deontologia professionale, c’è una deontologia ordinistica, nel senso che, la prima legge che noi siamo chiamati a rispettare, è proprio quella istitutiva dell’ordine, che lo sappiamo per moltissimi versi vituperate, noi ne ospitiamo, continuiamo a ospitare la riforma, ma è un po’ come la costituzione, ma che nella parte iniziale, fissa alcuni paletti non superati dell’attività della nostra professione; stamattina Raffaele ci ricordava l’obbligo del rispetto della verità sostanziale dei fatti, e io invece richiamo, ancora una volta, all’inizio è istituito l’ordine dei giornalisti, ne fanno parte i professionisti e i pubblicisti, cioè quanti pur volgendo altra attività, lo fanno in maniera non occasionale e retribuita, perché il nostro, ripeto,è un ordine professionale e nomina sub consequentia rerum. In questi due anni e mezzo, ci siamo spesso sentiti dire, colleghi per altro in buonissima fede, quando abbiamo chiesto di dimostrarci che continuavano a svolgere questa professione, parlo soprattutto dei pubblicisti in maniera non occasionale e retribuita “ma io pago ogni anno la tessera!”, come se il nostro fosse un club, dove basta pagare la tessera per poter continuare a essere iscritti oppure “va be, io il giornalista lo faccio per hobby o più nobilmente,per volontariato”, su questo abbiamo cercato di far riflettere i colleghi. E consentitemi di dire, che è assai singolare che ci ha invitato e ci invita a compiere la revisione dell’atto, indicandola come un’esigenza epica, pensate, è stato messo anche per iscritto, chi, pur avendo retto per non pochi anni l’ordine, non ha avviato una, che sia una pratica di revisione dell’atto, mentre, e sono dati ISTAT facilmente reperibili, in Puglia, il numero di pubblicisti è cambiato in questi termini: erano 1700 al settembre del 2004, sono diventati 4200 al 31 dicembre del 2012, a proposito no, di questa applicazione un po’ strabica della legge. E invece, è importante che solo perimetrando con rigore la nostra professione a chi effettivamente la svolge, e che noi possiamo più efficacemente difenderla, per non dire, giusto un flash, che credo qui i colleghi più autorevoli lo potranno confermare, nel 2016, non so se toccherà subito i giornalisti, ma tanto verremo a ruota, ci sarà in Europa la tessera della libera circolazione delle professioni, anche in questo l’Europa ci metterà in riga, facendo giustizia con un soffio di tutte queste realtà nazionali, corporative, di questi marziani, ancora soldati cinesi che ancora combattono senza aver coscienza che la guerra, una certa guerra è finita da un pezzo. Ma questa nostra, diciamo, per così dire legislatura, questo nostro triennio, è stato particolare, non solo perché noi in Puglia ci siamo messi in testa questa balzana idea della revisione, complicandoci un po’ la vita, ma perché come sapete, abbiamo e stiamo facendo ancora fronte a due novità sostanziali, sulle quali brevemente vi intrattengo, e cioè la formazione obbligatoria professionale, vedete come le parole tornano, formazione professionale, perché la nostra è una professione, e il disciplinare affidato a questo organo di consiglio territoriale disciplina a livello regionale e nazionale, diciamo organo,per molti versi, altro rispetto all’ordine. E qui, fatemi fare una riflessione ancora, quindi come si evince, oggi, possiamo ben dire, senza tema di smentite, che il 70% dell’attività che è in capo all’ordine dei giornalisti, si svolge, ma come è naturale che sia, sui territori perché la formazione la facciamo sul territorio, lo sappiamo bene noi pugliesi che dobbiamo formare colleghi dal capo di Leuca al lago di Lesina, in una regione lunga e stretta. Quindi, la formazione si fa sul territorio, il disciplinare sul territorio e vi faccio ammenda di altri due mila incombenze, fatturazione elettronica, altre lungaggini burocratiche che ci complicano la vita, e però, e però a fronte di questo aumento delle competenze che sono in capo agli ordini regionali, la divisione della quota che ognuno di noi versa, cioè 100 euro all’anno, è ancora cristallizzata, 50% a Roma, 50 resta a noi, pur dovendo noi, come vi ho appena raccontato, far fronte a quello che è il 70% dell’attività. Quindi, ragionevolezza, buon senso, vorrebbe che si fosse riequilibrata questa divisione della quota, e invece il consiglio nazionale ci ha detto che al CNOB comunque i 50 euro vanno dati e noi consigli regionali, che proprio ne abbiamo bisogno, che andiamo ai colleghi e aumentiamo la nostra quota, la quota totale da 100 fino a un massimo di 130, mi pare, e su quell’eventuale aumento,il consiglio nazionale non prenderebbe nulla, perché dal 50, il CNOB non si schioda, pur in presenza di questo nuovo equilibrio che c’è nelle attività.
La formazione. Consentitemi qua di ringraziare invece Piero Ricci, che su questo tema, così come Gianfranco un po’ per la revisione, si impegna moltissimo. Sulla formazione fatemi dire cose un po’ fuori dai binari. Io come giornalista, il fatto che debba essere arrivato il governo a dire che tu debba essere una persona formata, non lo vivo benissimo. io mi ricordo quando ero giovanissimo apprendista di questo mestiere, qui ci sono tanti amici e colleghi con i quali abbiamo condiviso quel pane molto amaro, però molto molto sano, una volta ebbi a intervistare Gidio Sterpa e io dissi “quali sono le tre cose che lei consiglierebbe a un giovane che vorrebbe fare il giornalista?” e lui disse: “3 sono le cose più importanti che un aspirante giornalista dovrebbe fare, quali: leggere, leggere e leggere”. Quindi io credo che questo dovremmo farlo già per noi stessi, che venga il governo che dobbiamo formarci, e poi se mi consentite, altre due tre citazioni al volo, quando Gramsci diceva “studiate, perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. Io credo che questo valga per noi, per i giornalisti, un po’ per tutti. Oppure Steve Jobs, quando diceva ai giovani “Siate affamati”, pensavo dicesse siate affamati di conoscenza, stamattina c’è un bellissimo taglio basso in prima pagina, sul Corriere della Sera, sulla curiosità, che con l’amore è una delle forze che muove il mondo, come dice il collega. Ma, diciamo, messa da parte questa breve pagina, se volete di poesia, vi do qualche numero sulla formazione obbligatoria in Puglia. Sapete che la formazione , il primo triennio è 1 gennaio 2014-31 dicembre 2016, è bene, dal 1 aprile, perché di fatto la formazione è partita il 1 aprile dell’anno scorso, fino al 31.12.2015, perché stanno già in programmazione e in fase di attuazione, in Puglia abbiamo messo in campo 267 eventi. Non si tratta qui di esibire muscoli, né di mettersi medaglie, c’è stato un periodo in cui eravamo terzi in Italia, non so se siamo quarti,siamo quinti eccetera, non tutte le ciambelle, come io dico, sono riuscite con il buco, e però crediamo di aver messo in campo un numero significativo di eventi. Ma, un altro dato più disaggregato, veramente sto finendo, lo devo dare, perché di questi 267 eventi, 174 li abbiamo organizzati nelle province di Bari e BAT, 44 Lecce, 22 Foggia, 17 Brindisi e 10 Taranto. E quindi nell’intero 2014, abbiamo “distribuito” un milione 482 crediti, punti, a 5700 iscritti. Qui c’è veramente l’invito ai colleghi dei territori, quelli che anche dalle cifre, appaiono, come dire, i più emarginati, a farvi anche voi…è chiaro che Bari, per mille motivi finisce con il fare la parte del leone, perché la presenza di università, di altre realtà, la vicinanza all’ordine e così, però, l’invito che faccio ai colleghi, ecco dei territori, di farsi a loro volta, promotori di iniziative, quando ce l’avete chiesto, ne abbiamo realizzati credo tutti, anche se qui sulla formazione, sapete, c’è anche qui una proposta di riforma di novità, e all’attenzione del Ministero della Giustizia, come Felice e Adelmo possono confermarvi, perché anche qui siamo nel pionierismo puro, si va verso l’acquisizione di tutti i 60 punti necessari nei tre anni, tutti attraverso corsi online, questa è una richiesta che è avvenuta soprattutto dai colleghi delle regioni più grandi, dove spostarsi è più difficile, ma i colleghi che spesso non possono perdere giornate di lavoro, eccetera. Quindi, si va verso, come dire, i corsi online ovviamente corsi che saranno creati, prodotti da società di servizio, da enti, dei quali si occuperà a Roma il consiglio Nazionale. A noi sul territorio resterà qualche cosa, tenete conto anche qui, che i fondi messi a disposizione dal consiglio nazionale sono di 5 euro a collega all’anno, e quindi qui capite insomma anche le difficoltà con cui ci arrabattiamo e nonostante questo, siamo stati abbastanza morigerati, nel senso che qualche euro, ancora da parte ce l’abbiamo. Poi le questioni sono collegate, revisione, formazione, lo stesso disciplinare, perché io credo, e questo spero che possa essere inglobato nella riforma, io credo che se c’è una formazione che dovrebbe restare in capo all’ordine, l’unica formazione che l’ordine dovrebbe curare, è quella deontologica, quella si, deve essere in capo a noi, e qui c’è moltissimo da fare, perché stamattina Raffaele parlava e altri, del far west, delle testate della nostra Regione, e questo far west riguarda anche l’esercizio quotidiano del nostro mestiere con violazione quotidiana, sistematica di tutte le nostre carte. E a proposito di carte, la nostra carta dei doveri è vecchia, del ’93, qualche settimana fa, proprio qui da Bari, Beppe Giulietti ha lanciato l’idea di andare a riscrivere la nostra carta dei doveri, io credo che sia un’idea oltre che interessante, assolutamente non rinviabile, coinvolgendo un po’ tutta, andando al di fuori di quello che è lo steccato della professione. Perché, quando noi giustamente sbandieriamo l’articolo 21 della costituzione come il vessillo della nostra libertà, non possiamo non renderci conto, questo spesso lo ripeto ai colleghi più giovani, ai pubblicisti, ai militi ignoti, perché io dico sempre, l’editoriale di Massimo Franco, spesso lo reggono in Italia non so, 5- 10 mila persone, ma se si fa un errore sui siti online in provincia, nel paese, pubblicando la foto della bimba o eccetera, i danni sono irreversibili, e di questi ne accadono ogni giorno, purtroppo molti. Perché l’articolo 21 si, la libertà di stampa si, ma ci sono altri diritti egualmente costituzionalmente garantiti, la privacy, pensate, anche perché il costituente nel 46-48, volete che parlasse di privacy, oggi si parla di diritto all’oblio, eccetera. Quindi, abbiamo necessità, ecco, nel nostro linguaggio, le parole sono come si scriveva sui pacchi delle dinamite, maneggiare con cura, le parole le dobbiamo maneggiare con grande cura, per la tutela dei soggetti più deboli, le donne,gli immigrati, i bambini. E qui torniamo alla formazione, ma io su questi temi, sui temi della deontologia professionale, hop bisogno di formare i colleghi, ho bisogno di formare chi fa la professione, non ho bisogno di formare il farmacista che è diventato pubblicista nei primi anni’90 e che quando io vado a bussare alla porta e gli dico “ma lo sai che devi formarti alla carta di Treviso?” e quello “Presidente, ma lei da dove spunta, chi è questo marziano di nome Losito, che nel 2015 chiede al farmacista di Trepuzi, che ormai è diventata una nostra vulgata, la nostra casalinga di Voghera, questo popolo diciamo, ecco quegli iscritti a prescindere, noi chiamiamo alla formazione professione gente che da questa professione è lontana nel tempo, nello spazio, anni luce. E ho finito. Il disciplinare, infine. Anche qui, più che nella formazione, ecco, stiamo vivendo una fase assolutamente pioneristica, aldilà dello sforzo,come dire, dei singoli, perché non vì è ancora univocità, come dire, di vedute, su quello che deve essere ancora il famoso potere istruttorio o di impulso da parte dei consigli. Noi in Puglia abbiamo scelto questa linea, che credo rispettosa della riforma,perché se il legislatore ha ritenuto nell’agosto 2012, che questa competenza debba essere affidata a un organismo a parte, noi come consiglio dell’ordine, aldilà di quegli esposti manifestamente infondati, cioè quello che dice che stamattina Vito Zita ha rubato la cattedrale di San Nicola e la cestino subito, gli altri, non faccio altro che girarli al consiglio territoriale di disciplina composto, lo ricordo, da nove colleghi, scelti su una rosa di 18, dal presidente del Tribunale. Ho finito, mantengo la promessa. Io credo che noi ci giochiamo il nostro futuro e la nostra credibilità, che come raccontava stamattina Raffaele nella hit parade delle professioni, tende al basso, se riusciremo a declinare tre parole fondamentali: la libertà con quei limiti di cui parlavo, la responsabilità, perché dobbiamo anche in questo noi riscoprire il senso del dovere, come per altro ammoniva Aldo Moro, uno dei padri della nostra legge, e soprattutto la professionalità. Se riusciremo a coniugare libertà, responsabilità e professionalità, avremo reso un buon servizio alla professione e al paese. Grazie, buon lavoro.
Luciano SECHI
Grazie a Valentino, che come dire, ci ha posto un po’ di problemi, qua oggi i problemi si accavallano insomma, io come dire, andrei avanti su queste forme di ragionamento, e chiederei a Giancarlo Tartaglia di intervenire, continuando in questo ragionamento complessivo, ecco. Mi rendo conto che non è semplice.
Giancarlo TARTAGLIA
No è che, colleghi, se no a furia di far intervenire, non c’è il dibattito congressuale, quindi rischiamo di… No, ma come dire, rispetto alle altre occasioni di incontro vostre, scusate volevo prendere una cosa che ho visto, che è arrivata adesso, come Direttore della Federazione dovrei intervenire sulla Federazione, ma è intervenuto questa mattina il segretario della federazione che è anche il presidente uscente, la relazione di Raffaele è stata così puntuale, così esauriente, ha fatto il quadro e la fotografia reale di quello che sta accadendo, quindi francamente non ho molto da aggiungere, però volevo soffermarmi su due, ecco, quindi il mio non è un intervento…allora, su alcune leggende metropolitane, che è il caso comunque di sgombrare. Allora, ne ha fatto cenno già il segretario, poi mi sono segnato… Allora, una leggenda metropolitana che tende a creare paure all’interno della categoria, è quella sulla disdetta del contratto. Allora, che cosa succede con la disdetta del contratto. Si sono tutti allarmati, perché sono corse voci, mail, facebook, twitter, chi più ne ha più ne metta, su questa cosa. Cosa succede con la disdetta del contratto? Non succede assolutamente nulla, perché, intanto come ricordava prima il segretario Lorusso, la disdetta del contratto, se voi andate a leggere l’articolo del contratto il 52, si dice che il contratto ha validità da-a, e se non viene disdettato da una delle parti sei mesi prima, continua ad avere vigenza per altri dodici mesi. Allora, dal 1947, anno in cui la federazione ha stipulato il primo contratto nel dopoguerra, dal ’47 in poi c’era questa clausola e dal ’47 in poi la disdetta del contratto è sempre stata data dalla federazione della stampa, non con l’intento di dire il contratto scade, quindi non c’è più contratto, no, ma proprio per evitare quel secondo comma dell’articolo 52, cioè per evitare che il contratto continui ad avere vigenza per altri dodici mesi. Allora, questa volta la disdetta l’hanno data gli editori, gli editori l’hanno data proprio con questo intento, perché non vogliono che ci sia un altro dodici mesi di quello che loro ritengono un contratto che deve essere superato. Quindi, ha una valenza puramente politica e basta, si ferma lì. Ma, mettiamo anche il caso che la volontà, come dire, politica degli editori fosse quella di dire, sapete che c’è, dal primo d’aprile, scherzo d’aprile, il contratto di lavoro giornalistico non esiste più. Che succederebbe? Allora, intanto noi dobbiamo partire da un dato giuridico che è questo, che il contratto di lavoro del 1959 è un contratto erga omnes, cioè legge dello stato, per cui loro possono fare tutto quello che vogliono teoricamente, ma non disapplicare una legge dello stato. Il che significa che automaticamente, nell’ipotesi di dire il contratto non esiste più, automaticamente entrerebbe in vigore tutta la parte normativa del contratto del 1959, che è, come dire, il cappello di tutela, di garanzia della professione giornalistica, nel rapporto di lavoro; primo elemento. Secondo elemento da prendere in considerazione, nei livelli di contrattazione, come sappiamo, c’è la contrattazione collettiva nazionale, la contrattazione collettiva aziendale, la contrattazione individuale. Allora, ognuno di questi livelli è superiore ai precedenti, io nella contrattazione individuale non posso modificare in peggio le contrattazioni aziendale o quella nazionale, o la legge dello stato, ma solo con effetti migliorativi. Allora, chiunque dei giornalisti che oggi stanno lavorando, sono stati assunti con un contratto individuale, in quel contratto individuale che è la lettera di assunzione, c’è scritto che il rapporto di lavoro è regolato dal contratto nazionale di lavoro giornalistico. Quindi, anche, ripeto, in questa fantastica ipotesi che il contratto fosse cancellato, per effetto del contratto individuale, il contratto collettivo richiamato nel contratto individuale, continua ad avere effetto giuridico valido fra le parti, cioè il singolo giornalista e la sua azienda. Terzo elemento di valutazione: neo assunti. Beh, i neoassunti non hanno questa clausola nel contratto, possono essere assunti come il presidente pretende l’azienda, devono essere assunti con il contratto a ..del ’59 per la parte normativa e per la parte economica scatta l’articolo 36 della costituzione, il quale stabilisce che ogni lavoratore ha diritto a una retribuzione equiparata alla quantità e qualità del suo lavoro. e come è accaduto nel corso dei decenni successivi all’erga omnes del ’59, quando il magistrato si è trovato di fronte a stabilire quale fosse la retribuzione adeguata per il lavoro giornalistico, ha fatto riferimento al contratto nazionale di lavoro. quindi, abbiamo una copertura anche giuridica su tutto questo. E ma se ciò non bastasse, tenete presente che l’ultimo contratto che abbiamo rinnovato, in realtà quello che scade il 31 di marzo, noi non abbiamo toccato tutto l’impianto contrattuale, siamo intervenuti su tre punti, uno di questi tre punti era l’indennità fissa, nel senso che, l’indennità fissa che era a carico di un fondo gestito dall’INPG, ma con la contribuzione degli editori, in realtà, storicamente sapete, la fissa la pagavano le aziende, a un certo punto c’è stata una sorta di socializzazione di questo istituto, per evitare di dover calcolare nei bilanci aziendali l’indennità fissa, è stato creato questo fondo, gli editori pagavano un contributo all’INPGI, l’INPGI erogava questa prestazione per conto degli editori. L’accordo che è stato fatto, perché quel fondo era oramai arrivato a livelli di insostenibilità, l’accordo fatto in base al quale si è ridotta l’indennità di mancato preavviso, alzando soltanto per i reattori ordinari e si è riportata a carico delle aziende, ma per tutto il pregresso, si è previsto un prestito dell’INPGI al fondo, la rateizzazione, eccetera. Bene, se quell’accordo non dovesse essere più valido, ritorna tutto in carico alle aziende, cioè, se per caso il 1 aprile, pesce d’aprile, il contratto non esiste più, allora tutti possono andare nella proprio azienda e dire “mi paghi tutto cash, l’indennità di mancato …cioè la fissa”. Quindi, come vedete, questa che il primo di aprile succede il cataclisma è una leggenda metropolitana. Allora, di questo sono consapevoli gli stessi funzionari della FIEG che hanno dovuto fare questa lettera di disdetta un po’ di mediazione rispetto al loro interno, ma i funzionari della FIEG, sono convinti che il primo aprile non deve succedere niente, perché è peggio per loro, non deve succedere niente. Questa è la prima leggenda metropolitana. La seconda leggenda metropolitana, ma quindi ne ha parlato anche il segretario stamattina, ma la rivedo nella rassegna stampa di oggi, se riesco a vederla, perché continua ancora questa storia sulla delibera sull’equo compenso. Raffaele stamattina l’ha citata, allora “sembra che ci sia oggi, leggo questo pezzo, equo compenso guerra fra ordine e federazione della stampa”. Allora, come sapete, nel contratto scorso, noi avevamo convinto gli editori a introdurre un accordo sul lavoro autonomo, che prevedeva alcuni passaggi normativi, l’obbligo della lettera di assunzione, il diritto alla firma, eccetera. Questa volta abbiamo fatto un passo in più avanti, prevedendo anche il compenso minimo. Anche, come dire, grazie a questa legge sulle equo compenso. Allora, qui c’è un problema di fondo, cioè: il tema del vostro congresso è “i giornalisti e la crisi dell’editoria”, che certamente è la crisi delle aziende editoriali, ma non è certamente la crisi dell’informazione, perché mai,credo, nella storia dell’umanità e nella nostra storia, c’è stata una produzione di informazione così ampia come quella che riceviamo ogni giorno, e l’informazione la fanno i giornalisti. Allora, come mai abbiamo, invece, il numero di iscritti che scende, ce l’ha detto l’INPGI, ce l’ha detto la Casagit, lo ha detto Raffaele nella relazione di questa mattina. Come dire, questo non è perché in realtà il numero dei giornalisti sia diminuito, è diminuito il numero di giornalisti con rapporto in numero subordinato, grazie a questa invenzione strana fatta del legislatore, di inventare i Co.co.co., il collaboratore coordinato e continuativo, poi il Co.co.pro., che dal primo gennaio del 2016 non c’è più, ma rimane comunque il Co.co.co.. Allora, il Co.co.co., poi nella dottrina è stato ribattezzato come lavoratore para subordinato, benissimo, para subordinato, il che significa, para subordinato, che è un lavoratore subordinato che non ha però nessun diritto del lavoro subordinato, questa è la sostanza giuridica di questo Co.co.co.. Ma è evidente che l’elemento, se voi prendete un qualsiasi libro di diritto, giurisprudenza sulla distinzione fra lavoro autonomo e lavoro subordinato, voi vi rendete conto che uno degli elementi è la continuità, l’altro elemento è il vincolo di subordinazione. Dopodiché, quando si parla di giornalisti, tutta la giurisprudenza dice, trattandosi di lavoratori professionali, professionisti, il vincolo di subordinazione è attenuato. Quindi l’elemento che dimostra la subordinazione, più che il vincolo di subordinazione essendo attenuato, è la continuità, ma se con la continuità sono inquadrato come co.co.co., tutto il castello crolla. Allora, grazie a questo intervento del legislatore, si è sviluppato questo fenomeno del co.co.co., prima erano lavoratori subordinati, quindi, il numero di addetti al settori è sempre quello, se non aumentato, solo che sono trattati come lavoratori para subordinati. Quindi, qui non ripeto le cose che ha detto Raffaele sull’impegno che come federazione abbiamo nella regolazione contrattuale, cioè quella di portare quanto più possibile co.co.co. dal rapporto lavoratore ancora subordinato, questo attiene alla rinnovazione contrattuale. Ma il problema è, e torno su questa leggenda metropolitana dell’equo compenso, il problema è che la legge sull’eco compenso, partiva da questa..poi la leggerà molto confusa, di difficile applicazione, ma comunque la legge diceva che bisognava regolare per i giornalisti, i rapporti di lavoro non subordinato, quindi i rapporti di lavoro. Quando questa legge è stata sottoposta dalla presidenza del consiglio al vaglio di un interprete, che la presidenza del consiglio aveva trovato nel professor Treu, Treu è arrivato alla conclusione, a dire “guardate, si, però qui non è che qualsiasi prestazione, qui stiamo parlando di rapporti di lavoro non subordinato, quindi occorre che ci sia un rapporto di lavoro”. E’ evidente che il rapporto di lavoro non ci può essere in chi da una prestazione e basta, no? Il rapporto che ci deve essere è un rapporto di lavoro, quindi lui ha detto che la legge si applica alle collaborazioni coordinate e continuative, quindi ha ridotto il campo. Dopodiché, quando si è andati in commissione, il governo ha detto, bene, prima di arrivare a una soluzione, invito le parti sociali a trovare un’intesa. E quindi è stato fatto un accordo contrattuale dalla federazione della stampa con la FIEG, un accordo contrattuale con Airanti corallo, un accordo contrattuale con Uspi. Ovviamente, l’accordo contrattuale non è un accordo per adesione, noi diciamo devi pagare…, è una trattativa e quindi il frutto della trattativa è il contratto, quindi anche sul lavoratore non c’è stato un contratto. Allora, dovendo trovare una soglia di tutele economiche e normative, il nostro obiettivo era quello di abbassare sempre più la soglia per far entrare sempre più colleghi, il tentativo degli editori era quello di alzare la soglia per farne entrare sempre meno. Alla fine siamo arrivati a stabilire questi 3 mila euro l’anno, ma non abbiamo detto, come dire, i collaboratori hanno 3 mila euro l’anno, salario di fame quindi tutta la demagogia che ne è seguita. Potevamo seguire la FIEG e dire 15 mila euro l’anno, che significava che tutti quelli che avevano 15 mila euro all’anno era dentro, gli altri erano fuori. Quindi, il nostro obiettivo è stato quello di abbassare questa soglia, fare entrare dentro anche quelli che avevano 3 mila euro l’anno. Dopodiché abbiamo definito questi compensi, che sono un compenso, appunto, come sapete, medio, poco più di 20 euro, per un pezzo di 1600 battute, quando dico 1600 battute, sto facendo poche righe, sto dicendo mezza cartella. Questi sono i compensi che certamente, venti e rotti euro, ventuno euro e qualcosa, per 1600 battute, sono decisamente molto più di quella che era stata la situazione che era stata denunciata alla presidenza del consiglio, cioè articoli pagati 3 euro l’uno. Mi pare che la differenza ci fosse. Quindi quello è l’accordo, ripeto, di mediazione che siamo riusciti a ottenere con la FIEG, sulla base delle indicazioni che ci venivano alla presidenza del consiglio. Stessa cosa abbiamo fatto per l’emittenza locale e per l’editoria minore. Quindi quello è un accordo contrattuale. Dopodiché, la presidenza del consiglio ha recepito l’accordo sindacale e ha fatto la delibera che richiedeva la legge, quindi una delibera della presidenza del consiglio e l’accordo sindacale. Dopodiché, come sapete, l’ordine nazionale si è appellato al TAR, il TAR ha dichiarato quella delibera nulla, ha reso nulla la delibera, dicendo, tornate perché non rispetta la legge, perché la legge non riguarda solo i co.co.co., riguarda tutti. Se voi andate a leggere poi, la delibera del TAR, non si capisce cosa si debba fare, perché la delibera del TAR dice, primo, riguarda tutti, benissimo, perfetto, per noi va bene se riguarda tutti, secondo, che non si può prevedere un corrispettivo a pezzo, che non si può fare riferimento al lavoro subordinato, che bisogna tener presente la prestazione e che bisogna valutare la qualità della prestazione. Allora, voi mi dovete dire, come facciamo in un accordo a stabilire la qualità della prestazione. Che significa stabilire la qualità della prestazione? Possiamo andare per categorie? Cioè. che se scrivo di sport è più basso e se scrivo di politica è più alto come qualità? Certamente non è questa. Allora qual è la qualità? Io ho scritto un bel pezzo e tu hai scritto un cattivo pezzo? E chi lo stabilisce? Metto in un contratto, come faccio a mettere in un contratto collettivo la qualità? Come la quantifico la qualità? Quindi, quella delibera, quella sentenza del TAR, è praticamente inapplicabile, tanto che la presidenza del consiglio si è appellata al consiglio di stato. Dopodiché, noi abbiamo detto, benissimo, questa è la posizione, quel TAR ha annullato la delibera, noi però, non abbiamo voluto annullare il contratto, perché avere una regolamentazione è sempre meglio che non avere nessuna regolamentazione. Quindi, noi abbiamo firmato quel contratto in via di pubblicazione, quell’accordo per noi è valido e per gli editori è valido, finché non sarà rinnovato, nel senso che anche la parte sul lavoro autonomo, noi riteniamo di doverla ridiscutere insieme alla parte sul lavoro subordinato. Quindi, quelle sono tutele, tutele che esistono, tra l’altro in quell’accordo contrattuale si prevedevano tutele di carattere normativo e una di queste norme riguardava proprio la CASAGIT, vi è stato ricordato da stamattina dal presidente dell’INPGI e poi dal presidente della CASAGIT che si è arrivati anche a un accordo per quanto riguarda quella fascia dei collaboratori coordinati e continuativi sulla tutela assistenziale. Quindi, come dire, anche qui, sgombriamo il campo da queste leggende metropolitane. L’ultima leggenda metropolitana riguarda il fondo di pensione complementare. Nel senso che, è stato ricordato, proprio stamattina si sono saputi i risultati del rinnovo del consiglio di amministrazione del fondo di pensione complementare, è stato oggetto, come dire, stranamente bersaglio. Cioè, nella rinnovazione contrattuale, siccome si parlava della fissa, qualcuno ha detto “state attenti che vi stanno portando via i soldi, quindi uscite dal fondo di pensione complementare”. Molti colleghi hanno fatto domanda per uscire dal fondo di pensione complementare senza capire che il fondo ex fissa era una cosa, il fondo di pensione complementare un’altra. Allora, questa confusione che c’è, va sgombrato il campo di…oggi, ripeto, siccome c’erano le elezioni in corso, c’è il cambio, non c’è nessuno del fondo di pensione complementare, però è opportuno ribadirlo anche in una sede congressuale come questa, far capire ai colleghi che la pensione complementare è la seconda gamba essenziale per la costruzione del futuro previdenziale dei giornalisti di oggi. Velocemente, quando Camporese ha parlato di tutte le critiche che ci sono sulla riforma fatta, allora molti colleghi, per esempio, pensionati hanno detto “perché devo dare un contributo di solidarietà?” Be, il discorso è semplicissimo, perché guardate, quelli che lavorano oggi e quelli che saranno assunti domani, pagheranno di più e avranno di meno, allora i colleghi che hanno pagato di meno e avranno avuto di più, possono dare un contributo di solidarietà minimo, modesto, per reggere la barca? Quindi questo è un elemento che va valutato complessivamente, quindi, non fare le crociate. Ma i futuri colleghi che saranno assunti, come quelli che oggi lavorano, pagheranno di più per l’INPGI e riceveranno di meno, è quindi opportuno che questi colleghi, ripeto, soprattutto i neo assunti, costruiscano questa seconda gamba della loro previdenza. Tenendo presente però, questo elemento e proprio per legge, l’iscrizione al fondo di pensione complementare è volontario, quindi se i colleghi non si iscrivono, non avranno nulla. E la contribuzione è anche a carico…vi racconto un aneddoto e poi finisco. Un collega, stiamo parlando di anni fa, tra l’altro direttore di un giornale, dopo aver fatto una transazione che andava via, venne e mi disse “quanto io ho del fondo di pensione complementare?” andai a vedere e dissi “hai 10 mila euro” e disse “ah, ma i soldi miei? Che fine avete fatto fare ai soldi miei?ma quelli erano i soldi che aveva versato, perché è evidente che se verso dieci, non troverò diecimila, troverò dieci, massimo undici, dodici, ma non di più. Quindi anche questo elemento, cioè la contribuzione è scelta dal giornalista che la fa, quindi questa è un’altra cosa sulla quale credo che come organizzazioni sindacali territoriali, bisogna sensibilizzare i colleghi a costruire questa seconda gamba previdenziale. Io mi fermo qui, non credo di dover dire altro.
Luciano SECHI
Grazie a Giancarlo Tartaglia che, devo dire, come al solito inquadra una serie di temi sul quale, diciamoci la verità, almeno per quello che mi riguarda, come al solito, denuncio la mia ignoranza insomma, è sempre una scoperta, ecco, da questo punto di vista. Adesso, io avvierei subito, proprio per non perdere tempo e per cercare di concludere in orari accettabili in serata, il dibattito, ricordando che gli interventi, così come abbiamo stabilito stamattina, hanno un massimo di dieci minuti, quindi, senza aver bisogno di altri interventi. Il primo intervento è quello di Michele Loffredo.
Michele LOFFREDO
Raffaele hai perfettamente ragione, usque tandem iacopinus abutere patientia nostra? Io sono particolarmente irritato con il presidente dell’ordine nazionale, perché è riuscito a incrinare il mio convincimento radicato nella necessità di avere un ordine dei giornalisti, perché, vedi Valentino, tu sei stato, sei un ottimo presidente, per me il migliore che ho conosciuto e credo di averli conosciuti tutti, però consentimi, tu hai detto che ci sono due stelle polari, tu guardi alla professione e al professionista, al giornalista, al collega. Io, ero e sono ancora sotto certi aspetti, convinto della necessitò di mantenere un ordine perché credo che c’è un terzo elemento, una terza stella polare: guardare al cittadino, perché l’ordine difende anche con la sua esistenza il cittadino rispetto a quello che sono le mie carenze deontologiche, alle mie cadute di stile, cosa diversa avviene sui cosiddetti social dove non c’è nessuna difesa, siamo esposti al pubblico ludibrio rispetto a chi la professione, in effetti, non la esercita. E dunque, su questo bisogna essere chiari, mantenere se è possibile l’ordine, purché ci siano questi tre elementi fondamentali così come tu li hai tratteggiati. Due pillole ancore e starò esattamente nei tempi che il rigoroso nostro Presidente ci ha indicato. Un’altra cosa mi è piaciuta fra le tante del tuo discorso, segretario, tu hai utilizzato una metafora che mi è molto cara, quella marinara, hai detto che siamo in un momento particolarmente difficile, una navigazione particolarmente difficile, dove bisogna fare quello che forse istintivamente molti non fanno, sistemare le vele, rimettere la prua a mare, perché chi va per mare sa perfettamente, che l’unica maniera per essere sicuri di non scuffiare, di non andare poi affondo, di non affondare. Questa metafora mi piace molto perché mi ha ricordato quello che qualche tempo addietro mi raccontava, e raccontava a noi il mio ottimo amico, voi lo conoscete tutti Enzo Maiorca, l’ho avuto mio ospite, e diceva appunto che è formativo l’augurio del vento non in poppa, perché è indice di una navigazione tranquilla non formativa, del vento in faccia, vento contro i denti marinaio, perché solo così ci si affina, si aguzza l’ingegno, si cercano strategie, si cercano soluzioni e però in questo mare agitato noi troviamo molti scogli, uno di questi è costituito, purtroppo, dalle consorelle confederazioni sindacali, gli amici che qui hanno parlato, sono convinto che l’hanno fatto con grande sincerità e però quando parlano della convergenza anche a livello nazionale, io ci credo molto poco,perché sappiamo quanto poco virtuoso è stato l’approccio dei sindacati per risolvere un problema per noi fondamentale per le possibilità di sbocco lavorativo, quello della legge 150 del 2000. Anche qui mi piacerebbe che la federazione spendesse un ulteriore impegno, perché io ritengo che quella legge sia auto applicativa aldilà di quello che è stato mistificato e cioè il fatto che non essendoci questa figura terza contrattuale così come prevede la legge stessa, è un alibi per non applicarla, e infatti, sia pure con poche virtuose situazioni sparse a macchia di leopardo, viene applicata, perché la legge, dicevo, dice la legge stessa come tutte le leggi, chiunque è tenuto ad applicarle e farle applicare, né può essere un alibi, un impedimento che non esiste questa figura laddove ce ne sono in alternativa altre due possibilità, quella degli enti locali e quella del contratto FNS FIE in attesa di un’ultima considerazione e mi taccio, io approfitto di questa tribuna per fare ammenda rispetto a quello che è stato un nostro stile comportamentale sin’ora, cioè quello di farci carico dei problemi anche di chi non è iscritto al sindacato, perché viene ripetuto come un mantra ormai fastidioso e inaccettabile, “che cosa fa il sindacato per me”. Io ho il piacere di vedere qui al tavolo della presidenza, Luciano Sechi, uno che non le ha mai mandate a dire e che è sempre stata un’anima critica, ha sempre avuto modo di, come dire, censurare ed evidenziare cose che non andavano nel sindacato, stando ben radicato nel sindacato, perché io sono certo, è convinto come me che ciascuno di noi, parlo per me non per lui, che si ritiene un pioneers dell’informazione, la sua unica tutela la trova all’interno del sindacato e guarda caso, noi che stiamo nel sindacato, noi tutti, sono certo, possiamo dimostrare che nel tempo abbiamo dimostrato lacrime e sangue per dimostrare questa nostra coerenza, questa nostra solidarietà nell’appartenere, mentre tutti coloro che dicono che cosa fa il sindacato per noi, guarda caso è gente che nel sindacato non ci ha mai messo piede o è fuori dal sindacato, comunque non è iscritta al sindacato e che noi abbiamo tutelato, perché io posso dire per noi, sul nostro territorio provinciale, ma sono certo di poter spendere con la stessa certezza quello che sto dicendo, e cioè che anche a livello regionale per intero, non c’è stata una segnalazione fatta al sindacato che sia stata disattesa, che non sia stata approfondita, che non sia stata tutelata e verificata. E allora, d’ora in poi, spero che ci sia un ordine del giorno perché si lanci questo forte messaggio, laddove si dica e ci si impegni a tutelare tutti coloro che fanno parte del sindacato perché siamo stufi di coloro che credono di poter risolvere i loro problemi al di fuori del sindacato con contrattazioni private, …. se gli riesce, ma questo non li autorizza a gettare fango su tutto il sindacato, anzi io dico viva il sindacato.
Luciano SECHI
Grazie a Michele Loffredo, auspicando di avere un atteggiamento il più inclusivo possibile, noi speriamo che invece di dover delimitare, mettere i paletti del sindacato, che riusciamo ad allargarli, anche quelli che oggi magari sono più scettici, arrivino dentro rendendosi conto che il sindacato è l’unico modo per risolverli questi problemi, ingenerale. La parola a Massimo Melillo, sempre raccomandando, nei tempi, anche perché se no a dieci a minuti si spegne il microfono.
Massimo MELILLO
No, un brevissimo intervento solamente per dire che penso che la relazione del segretario Lorusso è un ottimo viatico per il nostro agire futuro sindacale, è una sorta di modello che noi dobbiamo prendere per avere contezza delle nostre capacità, così come, anche gli interventi dei responsabili degli istituti ordinistici e dello stesso nostro presidente regionale dell’ordine Valentino Losito. Vedete, io non ho alcuna nostalgia del passato, anche perché come diceva Simone Signoret, la nostalgia non è più quella di un tempo. Però, permettetemi di fare una riflessione, anche perché è stata citata dal segretario Lorusso, e riguarda Rosa Luxemburg, una piccola donna e una grandissima rivoluzionaria, una martire comunista che ci ha insegnato il pragmatismo, così come ce lo ha insegnato un altro rivoluzionario, citato dal presidente Losito, è marcito nelle galere fascista, che si chiamava Gramsci. Ci hanno insegnato il pragmatismo. Che significa essere pragmatici? Significa saper fare i conti con la realtà, essere realisti, vale a dire non dare l’assalto al cielo, perché spesso chi da l’assalto al cielo, precipita rovinosamente a terra, è come quello che nasce incendiario e alla fine termina come pompiere. Ora, siccome noi dobbiamo dare una prospettiva al nostro agire sindacale, quale deve essere la stella polare della nostra prospettiva, della quale parlavano anche Rosa Luxemburg e Gramsci. È molto semplice, quella di dare un futuro alla professione senza creare illusioni. Questo è il nostro compito di sindacalisti, il nostro compito di sindacalisti è dinnanzi a una crisi strutturale che non dura da ieri, dura dal 2009 e quando si parla di crisi strutturale, non si parla solamente dell’Italia, si parla di una crisi globale che riguarda anche il nostro lavoro e riguarda la nostra progressione che attualmente è sotto attacco, noi siamo sotto assedio dinnanzi a una irresponsabilità degli editori, che hanno spostato il loro sguardo nella finanziarizzazione delle loro aziende. Ora, noi non abbiamo avuto alcun segnale di ripresa e la crisi ha morso ancora di più nel mezzogiorno e soprattutto in Puglia, prova ne siano le crisi al Corriere del Mezzogiorno, alla Gazzetta, al corriere del giorno, a Telenorba, ad Antenna sud, una complessità dell’informazione locale, dove tutti hanno pagato il loro prezzo, soprattutto i giornalisti. E qui voglio riferirmi anche, al caso emblematico di Telerama di Lecce, che veramente diventa emblematico, perché è la dimostrazione plastica della fine delle vacche grasse. Per questo io dico che spesso la crisi screma e contribuisce a scremare le scelleratezze di alcuni editori, che senza le sovvenzioni statali, i contributi statali, le pubblicità istituzionali, non sono più in grado di restare sul mercato. Mi verrebbe da dire, è il mercato bellezza, siccome io però nel mercato non ci credo, non posso dirlo e non voglio dirlo. E dunque, dinnanzi a questo far west editoriale, che non riguarda solamente l’assetto informativo dei giornalismi, vale a dire il web, la carta stampata,la radiotelevisione, la radio, eccetera, ma significa anche, entrare nel merito delle questioni salariali con stipendi di fame, soprattutto nell’informazione televisiva privata, e di stipendi bassissimi e soprattutto incerti. Incerti perché? Perché più che imprenditori quegli editori sono dei prenditori, editori avventurieri senza alcuna regola, perché in questo paese il rispetto delle regole, sembra una cosa di Marte, cioè ognuno fa quello che vuole, non c’è il rispetto, il benché minimo rispetto delle regole. E allora, la nostra azione sindacale, a cosa deve puntare? Innanzi tutto a un rafforzamento della presenza sindacale dei territori, a un rinnovamento nella continuità del nostro quadro dirigente, ma soprattutto alla firma di un nuovo contratto, è compito del sindacato firmare i contratti, è nella natura stessa del sindacato firmare i contratti, non un contratto pur che sia, ma un contratto che tenga conto, prima di tutto dell’occupazione, che tenga conto della precarizzazione del lavoro e soprattutto delle tutele salariali. Ora, c’è un conflitto che non riguarda solamente la nostra controparte, c’ho un conflitto che riguarda anche l’istituto ordinistico. È un conflitto che si rinnova e che ormai, credo che sia arrivato a dei livelli talmente bassi che io non so più come definirlo, no? L’ordine ha degli scopi ben precisi, il mantenimento dell’albo, la revisione dell’albo, il controllo della deontologia professionale, punto e basta. Noi abbiamo assistito in questi ultimi anni, a un intervento a gamba tesa dell’ordine su questioni strettamente sindacali, io personalmente ho dovuto far fronte a Lecce e nel Salento, a una sorta di jacquerie della cosiddetta informazione precaria, che hanno avuto 300 mila ragioni, ma un obiettivo e una prospettiva sbagliata, infatti la cosiddetta formazione precaria a Lecce e nel Salento non esiste più, esiste solamente il sindacato, cioè esistiamo noi alla quale poi si rivolgono, come diceva Michele, quando il sindacato serve. E allora, dinnanzi a questo conflitto, noi dobbiamo far capire all’ordine che, gli albi vanno rivisti e vanno revisionati, e che sulla scorta della famosa legge dell’equo compenso, che di fatto è inapplicabile perché i compensi li fa il mercato, abbiamo dinnanzi e dietro di noi, una prateria enorme, un esercito di riserva che se tu non accetti il ricatto ce ne sono dieci mila al posto tuo che lo accetteranno. Vi faccio un esempio, in questi ultimi tempi, sono andato a firmare con un notaio, va bene, dei contratti a termine uno all’ufficio del lavoro di Lecce e un altro a Brindisi, dove ho avuto la nettissima prova della messa all’angolo del sindacato, perché non possiamo più dire “io questo contratto non lo firmo”, non lo possiamo più dire, perché lo può firmare chiunque, perché i patti sono fatti precedentemente e la parte debole è costretta ad accettare quello che gli offrono. E dunque, questa nuova legge sul lavoro è una legge sfavorevole al lavoratore, io spero che creeranno i posti di lavoro, ma sulla base degli incentivi, se prorogheranno gli incentivi, ma questa legge sul lavoro è una legge a noi e ai lavoratori tutti, sfavorevole e per questo il cosiddetto totem dell’articolo 18, lo hanno voluto abolire. Perché questo era il nodo, perché quell’articolo rappresentava una funzione sindacale inestimabile. E dunque, dinnanzi a tutto questo è evidente che noi dobbiamo avviare una nuova forma di contrattazione tenuto conto anche del mercato del lavoro. abbiamo detto che non abbiamo nostalgia del passato e dunque siamo coscienti che i miei privilegi non esistono più, quelli della nostra generazione, chiamati “privilegiati”, questi privilegi sono finiti, non esistono più, quel mondo è seppellito definitivamente, perché occorre fare i conti con questa crisi strutturale, va bene? E dunque, se tutto questo è a noi sfavorevole, compito del sindacato è quello di avviare una contrattazione tenendo ben presente prima di tutto, l’occupazione, tenendo presente i livelli occupazionali e tenendo presente che noi restiamo in piedi e volenti o nolenti, gli editori con noi devono fare i conti. Questo, noi dobbiamo avere consapevolezza di tutto questo, è una consapevolezza che devono avere i colleghi anche, che non sono iscritti al sindacato e sollecitarli a sostenere il sindacato, perché continuo a pensare che senza sindacato, dopo, non ci sarà nulla.
Luciano SECHI
Grazie. Grazie a Massimo che un po’ ha sforato, diciamocelo. Intanto è arrivato il saluto del Sindaco di Bari, Antonio Decaro, leggiamo, adesso inguaiamo le colleghe, che mi sembra anche giusto che lavorano un poco.
…
Porgo a tutti voi i miei saluti. Purtroppo a causa di sopraggiunti impegni istituzionali, non mi è possibile partecipare ai lavori del vostro congresso, un momento importante che serve tanto a voi per affrontare i nodi della professione giornalistica nello scenario attuale. Quanto a noi, istituzioni interlocutori costanti dei media locali e nazionali, il vostro lavoro è parte integrante della nostra attività quotidiana, perché è anche grazie al vostro lavoro di stimolo e controllo puntuale che noi riusciamo a misurare la nostra capacità di amministrare e coinvolgere l’opinione pubblica nei tanti percorsi amministrativi, politici e sociali che portiamo avanti. Sono consapevole del delicato momento che state vivendo, così come sono convinto che il diritto all’informazione, che è elemento e valore fondante di tutte le democrazie moderne, deve e può continuare a rappresentare una leva motivazionale e professionale per andare avanti con la stessa passione, la stessa professionalità di sempre. Tra di voi oggi siedono tanti professionisti del panorama dell’informazione pugliese, con cui negli ultimi anni ho avuto il piacere e l’onore di interfacciarmi. A tutti porgo i più sinceri auguri di buon lavoro, confermando il mio pieno sostegno personale e istituzionale alle vostre attività, certo che faremo ancora tanta strada insieme senza mai rinunciare al rispetto delle reciproche prerogative. Con stima e affetto, Antonio De Caro.
Luciano SECHI
Proseguiamo con il dibattito e la parola a Paolo Melchiorre, che sicuramente, essendo di agenzia, sarà estremamente sintetico. E va be, è una minaccia allora, sempre dieci minuti sono.
Paolo MELCHIORRE
Allora colleghi, io vorrei che da questo congresso, al quale mi riaffaccio come delegato dopo diversi anni anche se ho continuato a fare attività sindacale, sono il fiduciario regionale dell’ANSA per la Puglia, si scisse con una consapevolezza in vista della prossima stagione, prossima, ormai aperta stagione contrattuale, che cioè, oltre che il problema occupazionale che deve essere al centro della prospettiva contrattuale e della nuova occupazione, di una ripresa che ancora non c’è sul piano occupazionale, noi con questo contratto ci giochiamo anche l’identità, molto più di quanto probabilmente ce la siamo giocata nel passato. Dico questo perché, la nostra identità, il nostro lavoro, è cambiato radicalmente e continua a cambiare mentre si rinnovano i contratti e si cerca di guardare alle tutele sindacali economiche, normative, giustamente, ma il nostro lavoro continua a cambiare in maniera vertiginosa, io, proprio qualche tempo fa ho scoperto, non so quanti colleghi l’abbiano letto, si sono inventati una delle ultime invenzioni, è il lavoro agile che non so se potrà mai essere affacciato dagli editori nei nostri confronti, lo chiamano smartworking perché ormai dobbiamo essere bilingue, ma il lavoro agile, come se noi stessimo sempre seduti alla poltrona a lavorare, smartworking che significa lavori due tre giorni per strada, potresti mandare le notizie, sto facendo un’ipotesi se gli editori decidessero di tentare di introdurre qualche virgola, qualche dettaglio di questo nuovo modo di lavorare, per due tre giorni lavori dalla strada, mandi con laptop, con smartphone, con tablet, con network, con quello che vuoi tu, e il resto te lo fai al desk. E questo non riguarderebbe i collaboratori che stanno sempre in mezzo alla strada, no, dal quale, dal collaboratore della giudiziaria che sta nell’aula del tribunale, al collaboratore della politica che va alla conferenza stampa e magari scrive da casa e magari scrive in mezzo alla strada, si ferma un attimo e manda una notizia, potrebbe riguardare anche i giornalisti, i redattori, quelli che stanno ora così, in redazione. Non è una cosa che non ci possiamo aspettare, perché poi il testo della proposta di legge pronto, ci sono nove articoli, l’ha fatto il professore, docente universitario che ha stilato la regolamentazione dei vari decreti attuativi del jobs act. Dico questo perché noi ci giochiamo molto dell’identità, e su questo lo ribadisco, in un periodo in cui sono in crisi, non è solo una crisi editoriale del sistema editoriale in generale, sono in crisi anche quelli che un tempo erano considerati i totem dell’informazione, io sto nella più grande agenzia italiana che ha dal 7 agosto, due giorni di solidarietà, ma soprattutto per coprire un buco scoperto improvvisamente dai soci editori, perché noi poi siamo, l’ANSA è una struttura molto anomala, i socio editori che sono gli stessi giornali, è un buco di 5 milioni, gli editori ovviamente non vogliono metterci una lira perché hanno i siti web, e quindi fanno concorrenza a noi stessi e stiamo da due giorni in solidarietà e soprattutto non c’è una prospettiva, nel senso che c’è una lotta interna tra azienda e direzione, si scannano a vicenda, ovviamente in mezzo, tra l’incudine e il martello,come al solito, c’è la categoria dei giornalisti che prende un ceffone da destra, senza porgere l’altra guancia si prende anche un ceffone da sinistra, e abbiamo dovuto prendere per i capelli un accordo di solidarietà, firmato e depositato il giorno prima che il consiglio dei ministri, il 6 agosto, decidesse di cambiare anche le regole sull’integrazione della solidarietà, che non era cosa da poco perchè l’Inpgi, e guai a chi lo tocchi e cerchi dimetterci mano da parte del governo, ci reintegra con oltre il 70% quella giornata di solidarietà persa, ce lo reintegrava, ora con le nuove norme, non si arriva neanche al 50%, siamo a 45% perché sono parificate alla cassa integrazione. Quindi, c’è stata la corsa, infatti poi mi riferì Raffaele che il giorno dopo che avevamo depositato al ministero del lavoro l’accordo, ne arrivarono altri sette otto, perché c’era la corsa a evitare il peggio. E nella contrattazione, io faccio un invito, così, un appunto per la prossima stagione contrattuale, un invito a Raffaele e ai colleghi che si occuperanno, bisognerà prestare molta attenzione ai carichi di lavoro, perché su quello noi ci giochiamo anche l’identità professionale, perché ormai si lavora nelle redazioni, con carichi di lavoro insopportabili e il web non ha certo facilitato questo ma ha aggravato la situazione, perché ormai, il monitor di un giornalista in redazione sembra quello della telecamera di vigilanza dell’ingresso di una banca in cui ci stanno sette telecamere e quindi ci stanno sette schermate sul monitor, e noi rischiamo di avere carichi di lavoro maggiori ancora di più, dettati dal web perché bisogna fare nuovi prodotti per incassare i soldi che ci devono salvare da eventuali crisi o per sviluppare l’occupazione. Questo è un primo punto, quindi ci giochiamo l’identità con il nuovo contratto, l’identità professionale. Giustamente, il presidente della CASAGIT dice da prima, ogni volta ci diciamo la stagione contrattuale, questa sarà più dura, e purtroppo non lo si può smentire, questa sarà ancora più dura, sembra un ritornello, perché la situazione ormai da bienni, trienni vari non migliora. L’altro, invece, riferimento che voglio fare è quello che aveva citato anche Raffaele, dell’agibilità democratica dell’informazione, che ormai è diventato un problema serissimo. Molti colleghi lo sapranno perché vivono nelle redazioni, ma le pressioni che arrivano,le telefonate, quando arrivano i comunicati, quindi c’è da fare un lavoro per il giornalista che ormai è diventato di agibilità democratica, nel senso che devi stare attento alle virgole, se a un ministro non piace il titolo, si inventa una telefonata tramite la sua portavoce, è capitato, per questo ve lo dico, “ma io volevo dire che”, no, tu hai detto, poi se la dichiarazione è quella, “no, ma io volevo dire…per cortesia potete”…e si fa la ribattuta, perché tra l’altro l’ANSA, ha una convenzione come la gran parte, 14 agenzie, questa è un’altra anomalia italiana perché 14 agenzie che hanno una convenzione con la presidenza dei consigli dei ministri, sono veramente un’anomalia assoluta nel panorama, penso mondiale forse una delle pochissime cose su cui posso capire i movimenti di lotti del governo Renzi, quelli di o vi accorpate o comunque 14 agenzie con la presidenza del consiglio, non ci possono stare. Arrivo alla fine. Quando parlo di agibilità democratica mi riferisco ovviamente, alla questione del decreto legge sulle intercettazioni, a tutta una serie di provvedimenti che si vogliono prendere o che intendono prendere e che comunque sono in discussione a livello governativo, che ci costringono a fare quello che alcuni giornali fanno, ma io sinceramente non lo farei mai, sono contrario, cioè o fai copia e incolla e pubblichi oppure rischi la condanna, la querela temeraria di pagare di tasca tua la causa, quello non è giornalismo, ha ragione Raffaele e io quella cosa non la farò mai e su questo versante la battaglia, il sindacato, dovrà farla in maniera durissima, grazie.
Luciano SECHI
Grazie a Paolo Melchiorre, la parola a Gianni Svaldi. Raccomando sempre i tempi perché ultimamente abbiamo…
Gianni SVALDI
Scusami presidente ma vengo da lontano, da in fondo alla sala. Cercherò di stare nei cinque minuti, così da regalare i miei cinque minuti in più a chi porterà la croce della presidenza regionale e dell’Assostampa di puglia, perché di croce si tratta. Care colleghe e cari colleghi, Eco ha detto di recente che i social danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima di parlavano solamente nei bar dopo aver bevuto un bicchiere di vino. Secondo me Eco è fin troppo buonista e ottimista, perché oggi la comunicazione in rete non è in mano solamente a ubriaconi, cialtroni, è in mano agli lestofanti, no censura, tutti i crimini degli immigrati, catena umana, sono dei siti che a molti di voi non diranno niente, ai più esperti di comunicazione in rete, dicono molto di più, sono siti che creano alla bisogna, ne ho citati solamente alcuni, ce ne sono molti altri. Creano alla bisogna delle bufale per guadagnare click e guadagnare sui quei click grazie alla pubblicità di google. Gli organizzatori e i promotori di questi siti, alcuni di loro non fanno neanche mistero di questo loro fine. Oggi in rete il nostro operato viene confuso con quello di questi signori, queste bufale, costruite ad arte, servono a guadagnare 50 centesimi a click nella migliore delle ipotesi, però, dall’altra parte del piatto della bilancia di queste 50 centesimi, c’è la violazione, c’’è la violenza di un’altra parte, di un altro paragrafo dell’articolo 2, che bene il nostro segretario citava all’inizio ma molti hanno preso, è quello del rapporto di fiducia tra stampa e lettori, questo rapporto di fiducia è stato completamente smantellato, un po’ per colpa nostra e un po’ per colpa di personaggi che hanno fini moralmente vergognosi e spesso illegali. Oggi, il sindacato, a mio avviso, non è solamente chiamato a tutelare il contratto ai suoi fini istituzionali, ma è chiamato a tutelare la professione, una professione che oggi sta morendo anche per colpa di chi comunque guadagna 50 centesimi a bufala, quando ognuno di noi viene chiamato a una deontologia, viene chiamato al rispetto delle regole, al rispetto della so stazionale e al rispetto della verità. Io mi ricordo che quando sono entrato in redazione, ma tutti quanti noi, scrivere qualcosa di inesatto non era solamente qualcosa di vergognoso dal punto di vista professionale, ma era anche vergognoso dal punto di vista umano, te ne tornavi a casa con un senso di colpa, sentivi di aver sbagliato qualcosa nel tuo lavoro, ma sentivi anche di aver sbagliato qualcosa nella tua vita, avevi sbagliato. Oggi, creare cose inesatte, creare bufale è diventato fonte di guadagno e questi signori guadagnano molto di più di un redattore, sicuramente molto di più di un collaboratore e molto di più di chi, come me, ha perso il proprio posto di lavoro anche per colpa di questa sovrabbondanza di informazione. Dobbiamo salvare la professione, lo dobbiamo fare per noi, lo dobbiamo fare per la nazione, lo dobbiamo fare alzando delle barricate, questo con la nostra professionalità, e lavorando anche in rete, perché tutte le volte che un giornalista non commenta un grande evento, lascia spazio a questi personaggi di fare il nostro mestiere, da il permesso a questi personaggi di svolgere il mestiere del giornalista, che è quello non solamente di raccontare i fatti, ma anche di commentarli. Quindi, tutte le volte che noi non commentiamo, io non sono d’accordo, mi dispiace che è andato via Camporese, io non sono d’accordo con Camporese quando dice che sui social non si parla, no, si deve parlare, perché tutte le volte, tutte le volte che noi non parliamo, parla qualchedun altro e questo danneggia non solamente la nostra professione ma danneggia la libertà di questo paese. Dobbiamo salvare il nostro mestiere, dobbiamo salvare, chiamatelo come volete, io lo chiamo mestiere, sono più legato alla figura di chi fa il giornalista di mestiere e non chi di professione, dobbiamo alzare delle barricate tra il giornalista e chi ha fini moralmente ignobili e spesso illegali. Grazie a tutti voi, cari amici.
Luciano SECHI
Grazie a Gianni per il suo accorato intervento su un problema che purtroppo è un dato reale, del resto, Baumann dice che ci sono molte informazioni, ma c’è scarsa conoscenza, il che mi sembra che, come dire, sintetizzi bene la questione. Io darei subito la parola a Vito Fatiguso, c’è? Si era nascosto Vito.
Vito FATIGUSO
Buonasera a tutti. Allora, io volevo evidenziare due aspetti che a mio avviso sono importanti per mettere a fuoco la situazione del mondo dell’informazione e magari per evidenziare gli errori del passato. Due punti fanno capo ai principi della sostenibilità e di controllo. Purtroppo, in molti casi, e soprattutto negli ultimi anni, i giornalisti si sono trovati a fare i conti con società editoriali, la cui mission non è certo stata ispirata dai parametri della continuità aziendale, né da quelli della programmazione pluriennale. Siamo alle prese con soggetti economici che in alcuni casi investono non per dare vita a realtà che si sostengono con il giusto equilibrio tra ricavi e costi, anzi, dimostrano di perseguire altre finalità, spesso lontane dalle esigenze di un settore che invoca equilibrio e fiducia nel futuro, e la prospettiva di questa mancata strategia, porta a creare un modello di business monco, che si concentra più sul taglio dei costi che sull’andamento dei ricavi e possibilmente sulla marginalità delle iniziative messe in campo, quelle che portano i soldi alle aziende. Ciò genera squilibri che si ripercuotono sui livelli occupazionali in tutte le sue componenti, dai contrattualizzate ai collaboratori fissi occasionali, ai freelance, tagli del costo del lavoro che si concretizzano, se non subito il licenziamenti, nella dichiarazione dei sumeri con intervento di ammortizzatori sociali e via via con la sofferenza delle relazioni. Non ultimo, il blocco dei contratti di collaborazione per quei colleghi che rappresentano l’anello debole del sistema. L’invito quindi, è spronare la proprietà e management affinché facciano meglio il loro mestiere, concentrarsi sull’andamento dei ricavi, scommettendo sulla filiera del comunicare e sulla qualità dell’informazione. Lo spazio, a mio avviso, sicuramente c’è. E poi il controllo. Bisognerebbe individuare nuovi strumenti di verifica costante dei conti aziendali in grado di svelare lo stato di salute delle imprese. Non dobbiamo più scoprire da un giorno all’altro che le aziende sono finite in sofferenza, spesso anche in maniera irreversibile, poiché in presenza di forti difficoltà, l’unica via praticata è quella di scaricare il peso delle crisi aziendali, sulle redazioni e sui costi collegati ai dipendenti. Monitorare i parametri numerici delle redazioni significa accendere i riflettori sul suo reale funzionamento anche per arrestare quella fabbrica delle illusioni che porta tanti colleghi a sperare per anni di entrare in redazione con le tante sognate stabilizzazioni, salvo poi verificare sulla propria pelle, che le condizioni non esistevano già in partenza. Su questo aspetto, anche chi è chiamato a gestire la macchina redazionale, dovrebbe non sconfinare in promesse difficilmente realizzabili, perché così si finisce per creare danni seri alla professionalità dei colleghi, visto che si alimenta un sistema sempre più scollato dalla realtà, un sistema che non riesce a dare risposte in termini di occupazione di qualità. In definitiva, più partecipazione e controllo forse possono darci una mano a invertire le sorti di una categoria che è nel pieno della trasformazione e che sta pagando un prezzo troppo pesante. Io volevo dire una cosa, l’altro giorno ho incontrato dei lavoratori di unì’azienda di informatica, che mi dicevano “Vito, da tre mesi a questa parte abbiamo visto che le nostre società hanno spacchettato tutto, hanno venduto le società alle commesse, non sappiamo più né chi è il nostro referente sia a livello di proprietà che di management”. Io dico che a questo punto, e magari ne hai viste parecchie di queste situazioni, è irreversibile, quindi noi dobbiamo, secondo me, tenere sempre l’occhio sui nostri conti, sui conti delle nostre aziende, perché, anche come è successo a noi al Corriere del Mezzogiorno, da un giorno all’altro abbiamo scoperto che la situazione era ben peggio di quella che si era creata. Saluti a tutti.
Luciano SECHI
Grazie a Fatiguso e brevissimamente è arrivata la richiesta di mettere all’ordine del giorno, all’informazione dell’assemblea, un ordine del giorno della delegazione di Brindisi che adesso leggiamo un attimo e passiamo subito ai voti.
…
Allora, il congresso regionale dell’Assostampa di Puglia esprime piena solidarietà agli editori e alla redazione del giornale online Brindisi Report.it che nei giorni scorsi si sono visti recapitare dal presidente dell’INVIMIT ed ex presidente della provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese, una richiesta di risarcimento danni per un ammontare di oltre 500 mila euro per un articolo di satira, in un periodo in cui la libertà di stampa è messa sempre più in discussione, ci sembra paradossale che si arrivi a minacciare una testata giornalistica per un articolo ironico, in cui per altro non riusciamo a ravvisare quanto dichiarato dai legali del ricorrente, cioè volgarità e tentativi di diffamazione, aggressioni gratuite e attacchi alla reputazione e all’onore, e sembra poi incredibile come si possa sostenere che non fosse comprensibile che l’articolo incriminato non fosse un articolo di satira, visto che la cosa pare chiara ed evidente fin dalle prime righe dello scritto. La richiesta di risarcimento appare, dunque, strumentale e finalizzata a mettere un bavaglio all’informazione locale indipendente, pertanto invitiamo i ricorrenti a rivedere la propria posizione, forse il diritto di replica e una lettera magari ironica, sarebbero bastati a far emergere posizioni differenti condivisibili o meno che siano.
Firmato la delegazione di Brindisi, Vincenzo Sparviero, Francesca Mandese e Giusi Carruezzo.
Luciano SECHI
La riteniamo approvata, ecco, se non ci sono obiezioni. Proseguiamo nel dibattito, la parola a Pippo Mazzarino, a cui raccomando i 10 minuti, perché ci conosciamo tutti quanti, insomma, sappiamo.
Pippo MAZZARINO
In realtà io sono quasi sempre sintetico, anzi ti prego, arrivato a ridosso, non arrivato al limite, di avvertirmi arrivato a ridosso. Ovviamente, osservazioni sparse. Ovviamente questo è un congresso importante non solo perché è straordinario, anticipato di sei sette mesi, ma perché chi sta lasciando la guida dell’associazione della stampa della Puglia è diventato segretario della Federazione della stampa, e in questi giorni è impegnato in un rinnovo contrattuale che, come ha ricordato lui stesso, mi sono procurato la relazione essendo arrivato in ritardo stamattina, e come ha ricordato tanto Camporese quanto Cerrato, è estremamente difficile e complesso e mette a rischio il futuro della categoria, che è una cosa che a me sta molto a cuore perché della categoria ho fatto parte e faccio parte e spero di continuare a far parte a lungo, e della professione. Perché negli accenti di molti colleghi, questo allarme si è sentito, e lo ha ricordato anche Valentino Losito da Presidente dell’Ordine. Sotto attacco infatti, ci sono tutta una serie di prerogative e diritti, io mi incazzo, consentitemi, quando cercano di farli passare per privilegi i nostri diritti e le nostre prerogative. Quali privilegi? Quali privilegi? Quand’anche sia esistita un’età dell’oro economica per i giornalisti, e onestamente io proprio come età dell’oro non me la ricordo, neanche agli albori, all’inizio della mia attività professionale nel ’76, sicuramente i livelli retributivi erano migliori di quelli attuali, ma non era affatto l’età dell’oro nemmeno allora e i diritti che ci siamo conquistati sono diritti di libertà al servizio del cittadino per il quale noi produciamo l’informazione, che è soprattutto interpretazione, non è una telecamera fissa come quella che sta vicino alle banche o al casello autostradale, non è la gazzetta ufficiale della repubblica italiana, il giornalismo è analisi, interpretazione. Agenda setting, come dice qualcuno ogni tanto, ma presidente soprattutto questo, scelta dei criteri di notiziabilità e quindi interpretazione, trasmissione al pubblico di cose che noi per primi dobbiamo capire, e per capirle le dobbiamo conoscere, quindi niente bavagli. E ora riflessioni molto flash perché devo stare nei tempi. Ha ragione Daniele, ha ragione Camporese, non ho sentito il suo intervento ma ho parlato a lungo con lui prima che partisse, noi abbiamo bisogno non di un animismo di facciata o di stemperare le cose che a volte ci sono, che ci dividono, ma abbiamo bisogno di unità della categoria nel momento in cui noi siamo fortemente in contrapposizione con due grossi poteri, il potere politico e per potere politico intendo anche le opposizioni, sia chiaro, non solo il governo e la maggioranza, l’editoria che è oramai una branca sempre meno autonoma del potere economico finanziario, non è più formata da editori ma è formata da finanzieri, è una divisione di Confindustria e anche Confindustria non fa più prodotto ma fa economia di carta, dobbiamo essere consapevoli di questo. Allora, ci può non piacere come Camporese ha amministrato l’INPGI e i risultati che ha ottenuto. Io, da pensionato da poco, non sono sicuramente contento di avere la vecchia fissa spalmata in numerose annualità e però, aldilà di questo, avrei voluto anche fare il direttore del Figarò se non fosse stato anche per motivi di lingua del Times. Ma, la effettiva possibilità qual’era? Noi avevamo la possibilità di imporre agli editori il rifinanziamento in blocco del fondo per la fissa per pagare la fissa come stabilivano le vecchie norme? Purtroppo no. Allora, anche se, ovviamente a me non è che faccia piacere questa diluizione nei termini, sono convinto che sia un male necessario, esattamente come sono convinto che aldilà della criticabilità di qualunque decisione assunta da qualunque organismo o dirigente della categoria, noi abbiamo bisogno soprattutto nei momenti in cui andiamo a rinnovazioni difficilissime, per quello che riguarda i contratti, e a negoziati altrettanto difficili, se non di più con la controparte politica, abbiamo bisogno di dimostrare che la categoria esiste e non è soltanto un aggregato sfarinato di singole persone, ognuna più o meno comprabile, ognuna più o meno ricattabile, ognuna più o meno neutralizzabile magari con le mance degli 80 euro o dei 500 euro per i diciottenni, come è entrato ormai nella prassi costante e comune della politica secondo repubblicana. Noi non dobbiamo farci comprare così. Noi abbiamo bisogno di tenere insieme il sistema, tutti gli enti e le organizzazioni e gli organismi di categoria, riservandoci quando è il caso di criticarli, riservandoci di fare campagna elettorale ma mai mettendo in dubbio la loro legittimità, (qualcuno crede veramente che tutti nell’INPS sul piano della previdenza sarebbe meglio per qualcuno?). “Meno siamo meglio stiamo”, è il titolo di una bellissima trasmissione televisiva, Arbore ma anche un nostro conterraneo, Stornaiolo, ma è una cosa che nel sindacato non va bene manco per niente, “meno siamo meglio stiamo” è il suicidio del sindacato. Ciò detto, e non è una contraddizione, meno siamo meglio stiamo, per quello che riguarda l’ordine, forse, non è del tutto sbagliato, ne ha accennato Raffaele, ne ha accennato Daniele, ne ha accennato, credo, Camporese, lo ha fatto parlandone poi con me, lo ha detto chiaramente anche Valentino, noi non abbiamo la possibilità di alimentare un ordine professionale di 120 mila iscritti in Italia, alcuni dei quali la professione giornalistica ove mai l’abbiano esercitata in un tempo più o meno lontano, non la esercitano più da tempo. Questi sono una massa di manovra pericolosa per le scorribande degli editori, sono una massa di manovra pericolosa di riserva indiana di voti per alterare equilibri democratici e noi dobbiamo esigere il rispetto della legge, lo abbiamo detto per decenni, finalmente in Puglia, dopo tanto tempo, e con tutte le cautele e le garanzie del caso, questa revisione è partita ed è sacrosanta. La formazione, io mi permetto di chiedere a Raffaele che è impegnato nel rinnovo del contratto, di inserire anche un rafforzamento della formazione negli obblighi contrattuali per gli editori, perché come ricordava giustamente Valentino, molto spesso i colleghi non hanno possibilità di partecipare agli incontri frontali che pure sono molto utili, non tutto si può fare on-line, questo andrebbe reso obbligatorio. La compartecipazione anche economica degli editori andrebbe rafforzata con vincoli per consentire, per lo meno ai dipendenti, ai parasubordinati, agli incaricati con lettera di carico a tutti quelli che volete voi collegati, con testate aziende editoriali, di partecipare ad iniziative di aggiornamento professionale di formazione. Benissimo, noi abbiamo bisogno di momenti di riflessione anche al di là dei momenti nei quali ci contiamo, nei momenti in cui rinnoviamo gli organismi. Questi momenti di riflessione ci servono anche ad immaginare una professione diversa e delle via di fuga e di uscita che, presi dal lavoro quotidiano o magari dalla demagogia ovvia, indispensabile, non eludibile delle campagne elettorali trascuriamo nei momenti congressuali o di rinnovo. Uno degli esempi è quello che ha portato Daniele questa mattina, la Casagit vede diminuire i contributi perché diminuisce la platea contributiva, ha immaginato questo fondo per Confcommercio, noi dobbiamo immaginare forme di espansione della categoria anche al di fuori degli organismi di categoria di controllo e dobbiamo immaginare anche nell’oceano di spazzatura che circola sul Web perché quella al 90% informazione in senso informatico cioè sono dati, non è informazione elaborata, quella che un tempo il vecchio dirigente dell’ordine che chiamava “ il bollino blu”, cioè questa notizia non è lercio, non è un sito imbroglione ma è stata verificata da un giornalista, il che non vuol dire che corrisponde in assoluto alla verità ma che segue una etica, una deontologia. Grazie a tutti.
Alessandra CAVALLARO
Io cercherò di fare un discorso un po’ più omogeneo cioè vi racconterà la mia storia perché spero che la mia storia possa essere un contributo per raccontarvi quello che succede anche fuori dal Sindacato, un piccolissimo viaggio starò nei dieci minuti, come promesso. Intanto mi presento, oggi sono Alessandra Cavallaro e sono una giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, una collaboratrice, ma sono anche da Maggio- Giugno più o meno una collaboratrice responsabile della Comunicazione di Libera Puglia, e da poco ho fatto anche un Master alla Business School de Il Sole 24 Ore, ho preso una piccolissima specializzazione come Storyteller tra l’altro è una delle tante discipline secondo me che dovremmo poi cercare di integrare anche nel tempo all’interno del nostro Sindacato. Uno Storyteller è sostanzialmente un narratore. Scusate questo preambolo, però mi sono presentata. Sono nel Direttivo di Asso stampa pugliese dal 2012, ho frequentato a corrente alterna ma per motivi strettamente che riguardano motivi personali, ho ascoltato però sicuramente molti di voi all’interno del Sindacato e ho ascoltato anche tantissimo l’emorragia che sta fuori da questo Sindacato che è l’emorragia di posti di lavoro. Sono entrata nel Direttivo come una giornalista di una emittente televisiva che è Studio cento dalla quale però ho scelto di andare via e lo dico liberamente e spontaneamente nel 2013 e sono entrata per ben due anni in disoccupazione. Studio cento è una delle tantissime realtà pugliesi televisive che vive una crisi di sistema da anni, ho persino perso il conto, credetemi, di quanti anni vive una crisi di sistema, una emittente che paga i contributi ma soltanto per difendere tutti quei finanziamenti che arrivano dallo Stato ma che si dimentica periodicamente e sistematicamente di pagare i suoi dipendenti, tra l’altro nostri colleghi iscritti anche all’Inpgi. Questa è una strana anomalia dal mio punto di vista a volere essere comunque delicati nella valutazione ma che comunque rappresenta lo specchio di ciò che accade anche in altre realtà pugliesi di cui però secondo il mio punto di vista ancora non abbiamo una completa contezza. Il la definisco una bomba ad orologeria di cui noi ancora non abbiamo una mappa completa, ciò che voglio dire, sappiamo magari quanti posti di lavoro abbiamo perso, sappiamo anche quante televisioni sono ancora in piedi, quante televisioni invece non sono più in attività però io chiedo a voi, è vero, questo lo sappiamo, ma secondo voi esistono televisioni svuotate di giornalisti? Questa è una domanda che io vi faccio perché qui in Puglia ce ne sono e queste televisioni possono essere considerate ancora tali se sono completamente svuotate di giornalisti, possiamo tutti quanti noi ritenerci soddisfatti se vediamo ancora il marchio di una televisione, lo vediamo, lo vediamo perché va in onda però purtroppo all’interno non ci sono giornalisti e aggiungo, non ci sono giornalisti di qualità a volte all’interno di alcune televisioni, qui in mappa manca oggi una mappa di quelle televisioni ancora di qualità questo il mio punto di vista. Soltanto allora , soltanto dopo aver trovato questa mappa potremo trovare tutti quanti insieme, io mi ci metto in mezzo, delle soluzioni, magari fare delle proposte al governo regionale chiedere delle leggi ad hoc, io credo che in alte Regioni questo sia stato già fatto però qui non si tratta più soltanto di difendere quella che abbiamo chiamato più volte “ una pluralità di informazione” o il nostro Istituto previdenziale perché oggettivamente io l’ho sentito dire a tutti quanti, se scoppia la bomba della emittenza locale, è una bella bomba ad orologeria per il nostro Istituto previdenziale, ma comunque qui si tratta comunque di continuare difendere le persone in particolare, persone che ripeto, sono dei nostri colleghi. Io ho visto molti di voi lavorare e lavorare tantissimo, vi ho osservato, vi ho osservato da fuori, ho osservato voi sindacalisti che avete lavorato davvero bene in tutti questi anni, io vi chiedo di continuare a lavorare bene in sostegno della emittenza locale perché, credetemi, è veramente una bomba che sta per esplodere. Questo ve l’ho detto per quanto riguarda una parte del mio viaggio e cioè quello che io sono stata come giornalista di Studio 100. Ora vi chiedo qualche minuto, veramente soltanto qualche minuto come collaboratrice a pezzo della Gazzetta del Mezzogiorno, io faccio parte di quella che è chiamata oramai simpaticamente, ci possiamo fare anche una risata se vogliamo, la generazione 5 Euro, 5 Euro e 20 più o meno al netto 5 Euro e 30, più o meno siamo lì, e mi va bene, ma tutte le volte che mi definisco così sostanzialmente sorrido anche se poi ci rifletto e dico “ beh, insomma, tanto proprio da sorridere io non avrei. “ Ora però non vi chiedo di parlare di stabilizzazione o assorbimento all’ interno della redazione anche perché mi pare che ci sia un percorso netto, poi ci sarà del tempo, ci saranno dei mesi, ci saranno degli anni, non lo sappiamo, ma c’è un percorso che comunque è stato aperto, lo ha detto Raffaele stesso con gli editori e quindi è un percorso che andrà per conto suo e tra l’altro io credo molto in questo nuovo sindacato, e credo molto sia a quello che ha fatto Raffaele qui in Puglia e credo quello che potrà fare anche a livello nazionale. Però io in questa sede vorrei farvi una piccola osservazione personale, devo prendere fiato perché non è facile. Io sono una giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno a pezzo che ha paura, tanta , io ho avuto paura quando ero in disoccupazione e ho paura ancora oggi come collaboratrice a pezzo della Gazzetta del Mezzogiorno, ho paura perché non conosco assolutamente quale sarà il mio futuro, per niente, ho paura quando devo recuperare a volte mettendo in campo tantissima pazienza, che non ho, in compenso delle mie costanti prestazioni di lavoro. E ho paura perché come tutti quanti voi io ho degli impegni di spesa e ci sono mesi che devo veramente scapicollarmi, credetemi, per farvi quadrare i miei conti. Ma, e qui viene il bello, se mi fermassi soltanto alla sola parola “ paura” che io ho sentito purtroppo anche troppo abusata, usata con retorica, o al pronome “io, io solo ho paura” commetterei un gravissimo errore e vi dico anche perché, perché secondo me in questa stanza tutti quanti abbiamo paura, hanno paura anche quei colleghi delle redazioni che sono stati considerati per anni garantiti, ed io credo, e ve lo dico con sincerità, che a modo loro abbiano paura anche i pensionati. Quindi dobbiamo trovare un sistema, dobbiamo trovare la maniera per collegare tutto quanto. Ora io credo giusto che ci sia una distinzione di ogni piccolo microcosmo all’interno di questo sindacato e credo che ogni piccolo microcosmo debba fare il suo piccolo viaggio, che debba seguire la sua rotta. Però anche io ho viaggiato e vi assicuro che ho viaggiato in acque poco serene ma se viaggiando, e qui viene il bello, ad esempio, non avessi incontrato la paura reale di alcuni colleghi contrattualizzati ma oggi in solidarietà e non avessi, lasciatemi passare questa cosa che ho sentito, sentito anche quel senso di smarrimento in alcuni colleghi che sono andati in prepensionamento, io avrei compiuto un viaggio solo con la mia paura ma che senza ombra di dubbio questo viaggio non mi avrebbe fatto crescere. Le mia indicazioni stradali in questo viaggio difficilissimo, io ho navigato veramente in acque pesanti, sono state tutte quelle persone che apparentemente con il mio viaggio con c’entravano assolutamente niente ed è con questa consapevolezza che vi parlo oggi perché voglio che voi tutti quanti qua dentro possiate vedere me non come un problema da risolvere, come un precario che crede a dei diritti ma come ad una risorsa perché io oggi sono convinta di essere una risorsa e tale io non sarei diventata se non vi avessi fatti salire tutti quanti voi ad uno ad uno sulla mia barca mentre il viaggio, vi assicuro che stava vacillando. Mi sono fatta permeare dalle vostre paure, dalle paure dei garantiti e dalle paure anche dei pensionati e sono cresciuta nonostante la paura, sono diventata più grande con la paura. Vado a chiudere. L’ultima osservazione. Tutti noi qua dentro chi più chi meno sono delle monadi perché la professione oggettivamente ci porta a viaggiare in direzioni diverse, c’è chi è più anziano, c’è chi è più piccolo, c’è chi ha più esperienza, c’è chi come me ha di meno esperienza rispetto ad altri, ma oggi io vi chiedo uno sforzo, uno sforzo reale, proviamo a salire tutti quanti l’uno sulla barca dell’altro, da solo ve lo posso dire, io sarei cresciuta soltanto in parte, sia umanamente che professionalmente, invece vi ho portato con me e sono maturata più in fretta. Credo, l’ho visto da fuori, e spero di vederlo da dentro prossimamente lavorando e mettendomi al servizio di questo sindacato che è il momento di prenderci cura di noi dall’interno, un sindacato che ha, io le ho viste, perché hanno aiutato anche me, delle luci bellissime e lo so per certo perché le ho fatte salire sulla mia barca, no spegniamole, vi prego, non spegniamole per incapacità a vedere le nostre diversità, se io sono una risorsa anche tutte quante le nostre diversità sono una risorsa. Grazie.
Moderatore
Grazie ad Alessandra e da vecchio contrattualizzato, devo dire che è una bella lezione, eh. E la ricordo anche agli altri colleghi che forse è bene non dimenticarselo. La parola a Michele Peragine.
Michele PERAGINE
Solo per caso il mio intervento segue quello di Alessandra Cavallaro, vi parlo come fiduciario dell’INPG e quindi approfitto di questa occasione per parlarvi un po’ dell’attività ispettiva svolta dall’INPGI negli ultimi cinque anni dove sono stati avviati e conclusi nella nostra Regione 31 accertamenti nei confronti di aziende operanti nella Regione appunto e quattro di questi accertamenti hanno riguardato pubbliche Amministrazioni, accertamenti che hanno comportato rilievi per 750 mila Euro a tiolo di contributi dovuti in favore della gestione sostitutiva della Assicurazione Generale obbligatoria connessi al riconoscimento di 25 rapporti di lavoro subordinati erroneamente qualificati collaborazioni autonome dalle aziende ispezionate e 12 rapporti di lavoro dipendenti preso Pubblica Amministrazione e uffici stampa che hanno comportato la richiesta di trasferimento della relativa contribuzione INPS, INPDAP dall’INPG in virtù dello svolgimento di attività lavorative di natura giornalistica. Sono inoltre state rilevate 17 collaborazioni coordinate continuative che hanno comportato l’addebito di 20 mila Euro a titolo di contributi dovuti alla gestione separata. Inoltre dei 31 accertamenti, 10 non hanno riscontrato irregolarità contributive, accertamenti che anche con esito negativo in alcuni casi hanno comportato installazioni di rapporti di lavoro subordinato e di collaborazione coordinate e continuative in corso di ispezione o immediatamente dopo la conclusione dell’accertamento in virtù dei rilievi mossi dai funzionari ispettori. Relativamente ai 21 verbali che hanno comportato addebiti, 3 aziende hanno pagato gli importi senza instaurare contenzioso ed una ha effettuato istanza di trasferimento della contribuzione dall’INPS all’INPGI per 100 mila Euro. Circostanza questa che ha abbattuto i rischi di costi connessi ad un eventuale contenzioso giudiziale di circa il 10%. Questa relazione breve che vi ho illustrato soltanto per rappresentare come l’INPGI sia molto attenta e sensibile, l’INPGI funziona dappertutto ma nel caso della Puglia diciamo che si avvale di una larga componente nell’ambito del Consiglio, oltre al sottoscritto e a Piero Lici, consiglieri, Stefania Dimitrio che è rappresentante nonché presente nel Consiglio di Amministrazione come gestione separata, poi abbiamo Gianfranco Summi in rappresentanza della Casagit, abbiamo Raffaele Lorusso come rappresentante della Federazione, abbiamo il direttore Generale Mimma Iodice.., cioè una rappresentanza quella nostra nell’INPGI che sicuramente ha contribuito a dare ancora più motore a quella che è l’attività ispettiva a parte del servizio contributi e vigilanza che alla nostra Regione, come avete avuto modo di vedere, ha dedicato molta attenzione. Voi potete dire, sì, però 31 accertamenti, in realtà non è che si va, si prende un caffè e si va via, le ispezioni sono ispezioni mirate, a sorpresa ovviamente, e che hanno una base di solidità di controllo e di verifica quindi alla fine i risultati, come avete avuto modo di vedere, il recupero di 750 mila Euro sicuramente è un risultato importante, vi dico questo perchè oltre che fiduciario quindi dovevo in qualche modo rappresentare quella che è l’attenzione dell’INPGI nella nostra regione in qualità di componente della Commissione Mutui e prestiti volevo fornire qualche dato anche relativo ad alcuni indicatori che possono rappresentare lo stato di salute economica dei nostri colleghi. Giusto per divi che ad oggi sono 596 i prestiti, 59 i prestiti su un totale di 1840 quindi il 3% ella situazione dei prestiti che a livello generale è rappresentata dalla Puglia. Sono molti di meno i mutui perché come spate l’INPGI ha dovuto sospendere quella che è la erogazione dei mutui per il 2015 e vi posso anticipare che questo accadrà anche per il 2016 un po’ perché i mutui con le banche che praticano dei tassi molto vantaggioso si fanno una concorrenza all’istituto e comunque da un punto di vista proprio di filosofia di gestione delle risorse quella dei mutui cominciava ad esser una gestione non proprio comoda, non proprio agevole per l’INPGI quindi si è deciso di sospendere nel 2015, sarà riproposta nel 2016 e informazione di servizio nei prossimi giorni vi arriverà a casa una lettera dell’istituto con cui si comunica ai titolari di un mutuo con l’INPGI la possibilità di poter utilizzare la portabilità quindi di trasferire il mutuo presso banche di riferimento di fiducia in modo tale da poter così sanare e risolvere questo rapporto con l’istituto. Quindi chiusa la parte che riguarda la mia figura di consigliere dell’INPGI nonché di fiduciario, volevo giusto soffermarmi su un aspetto riguardante questo Congresso. Ieri, intervenendo ad una trasmissione della Rai, ad un Tg della Rai, c’è stato chi ha chiesto a Raffaele “ che cosa cambia adesso? Hai un suggerimento da dare al tuo successore, al gruppo dirigente che verrà“, e Raffaele ha rappresentato questo cioè proprio il valore della continuità quindi chi pensa che ci sia una sorta di interruzione dell’impegno con la gestione Lorusso si sbaglia perché è già ormai con la esperienza di Salvati, Salvati ha determinato la costruzione di un gruppo dirigente che poi è stato preso per mano da Raffaele che lo ha condotto e creando quella che è una sorta di selezione delle figure professionali più importanti e più solide per garantire una continuità dell’attività sindacale quindi pur riconoscendo a Raffaele un particolare impegno, è chiaro che Raffaele è un fuori classe, non lo dico io il fatto che sia arrivato a diventare Segretario generale della Fnsi già è un dato che parla da solo. È un fuori classe e i fuori classe non nascono tutti i giorni però con la sua guida, con la traccia che lui ha indicato e la capacità che riconosciamo tutti a Bepi Martellotti, al gruppo dirigente che lo ha affiancato in questi ultimi mesi da quando Raffaele in qualche modo è stato costretto a sacrificare un po’ del suo tempo alla associazione per la federazione, quindi io penso che questo lavoro ben avviato potrà continuare senza paura da parte di nessuno. Un ‘ultima cosa, qua parliamo delle paure come diceva Alessandra Cavallari e della situazione che è una situazione pesante, io non voglio ripetermi perchè sarebbe aggiungere parole su parole, però una parola vorrei recuperare, recuperandola proprio dall’intervento che Raffaele ha tenuto dopo la sua elezione a Chianciano, lui ha fatto riferimento ad un giornalismo di qualità. Ecco, questo appello deve diventare ma più che diventare, deve continuare nell’ambito della continuità di cui dicevo prima, il nostro impegno anche per il futuro perché poi almeno questo dobbiamo cercare di chiederlo a noi stessi, poi sappiamo che non è facile. Io vi posso raccontare quello che è successo all’indomani dell’attentato di Parigi, ultimo, quando dovendo fare un pezzo su come i baresi registravano l’attenzione per questi fatti drammatici, io mio capo redattore ha detto “ sì, ma mettiamoci un pò di glamour”. Siccome era in corso a Bari un appuntamento dal tipo, il titolo lo devo ricordare, even nice glamour, una cosa del genere, cioè comunque lui ah voluto introdurre questo elemento così modaiolo perchè fa parte del suo credo qualitativo. Io ne ho un altro, quindi non ho accettato, abbiamo dovuto alla bella e meglio cercare di coprire la ferita, di metterci una toppa e mi rendo conto che molto volte con i Direttori, con i capi redattori, con i capi servizio cioè non è che abbiamo un planning di qualità omogeneo quindi mi rendo conto che è difficile però almeno questo sento di chiederlo a me e senso di chiederlo all’Ordine, sento di chiederlo al Sindacato, lavoriamo per i nostri diritti, lavoriamo per il nostro futuro ma soprattutto i nostri diritti e il nostro futuro non saranno né diritti e né futuro se non ci sarà la qualità. Grazie.
Moderatore
Grazie. La parola a Stefania Dimitrio.
Stefania Dimitrio
Cari colleghi e care colleghe, proseguiamo ancora con l’INPGI. Poco più di un mese fa l’Istituto ha approvato i bilanci di assestamento 2015 e di previsione 2016, per quanto mi compete vi fornirò qualche numero della gestione separata. I dati in termini di patrimonio numero di iscritti rapporto fra contributo e prestazioni e sostenibilità attuariale confermano un quadro di totale garanzia per gli iscritti quindi questo al contrario dell’INPGI 1, resta però come più volte evidenziato la non adeguatezza prospettica delle prestazioni collegate ai redditi molto bassi, pensate soltanto 9 mila Euro l’anno è la media per i CO.CO.CO. e 11 mila per i liberi professionisti. Allora stesso tempo si evidenzia una costante crescita del numero degli iscritti alla gestione separata a sottolineare una amplificazione del lavoro giornalistico non dipendente in un mercato del lavoro già fortemente depresso. Nell’ambito del numero degli iscritti si registra un aumento dell’1, 4% ossia 41.120 unità. L’attività ispettiva condotta dall’istituto ha evidenziato importanti sacche di erronea ai versamenti contributivi preso l’INPS in particolare da parte di aziende private che utilizzano giornalisti nei propri uffici stampa. Bisogna andare avanti in questa direzione per riportare quei colleghi verso l’istituto. Riguardo i dati di bilancio l’avanzo di gestione previsto per il prossimo anno è pari a 44, 5 milioni di Euro contro i 45, 1 milioni dell’assestamento del 2015. Il totale dei contributi obbligatori presenta un aumento di 0, 6 milioni rispetto al dato assestato del 2015. Tale aumento è da imputare alla crescita della contribuzione dei lavoratori libero professionisti, la contribuzione dei CO.CO.CO. invece è pressochè in linea con quanto stimato nell’assestamento dell’anno in corso. Fin qui questi sono i dati nazionali, ma veniamo invece a quelli della nostra Regione piuttosto sconfortanti per la bassa percentuale di iscritti alla gestione separata. Su un totale di 4.261 iscritti all’ordine dei giornalisti della puglia solo 1391 sono iscritti all’INPGI 2, vale a dire solo il 32, 6% quindi un dato basissimo che però è cresciuto considerevolmente soprattutto a seguito della previsione dell’albo dell’ordine dei giornalisti della Puglia effettuata l’anno scorso pertanto si è registrato uno scostamento tra il 2014 e il 2015 di 40 unità in più. Io quindi credo che questi numeri vanno interpretati in un solo modo, dobbiamo lavorare molto per i colleghi soprattutto per sensibilizzare i più giovani e coloro che si avvicinano alla professione per far capire loro quanto sia importante la contribuzione perché, cari colleghi, non si lavora per hobby. Capisco bene che la sfida nel mercato del lavoro è sempre più pressante e che è difficile sopravvivere con redditi sempre più bassi, sul fronte della occupazione poi si continua a registrare una contrazione dei contratti di lavoro che condiziona sempre più il rapporto tra attivi e pensionati. Siamo al limite del rapporto entrate e uscite, ma questo ovviamente non ci deve scoraggiare, al contrario, dobbiamo sopravvivere con dignità e, quando parlo di dignità, voglio dire che non è pensabile costruire una società civile in cui si appresta ad avere persone con pensioni bassissime perché di questo stiamo parlando, la gestione separata non è una pensione, è un supplemento e quando spesso io ricevo telefonate dai colleghi e veramente negli ultimi anni sono state una infinità, negli ultimi tempi anche accresciuti dal timore della revisione dell’albo dei giornalisti, spesso mi chiedevano “ ma quanto mi troverò?”, mancano veramente le basi, manca la formazione alla previdenza, questa è una cosa di cui io mi cruccio molto e per questo ho sempre cercato di dare in questi quattro anni una disponibilità assoluta a coloro che si avvicinavano alla professione. Se poi pensiamo il lavoro quando si trova è sempre più lavoro autonomo, dobbiamo anche pensare che i numeri della gestione separata sono ovviamente destinati a salire. Non a caso gli iscritti a livello nazionale sono superiori a quelli della gestione principale, molto dobbiamo fare soprattutto nella nostra Regione, la previdenza è il nostro futuro, la nostra protezione, il nostro salvadanaio, una certezza la proprio fianco, rappresenta un elemento troppo importante nella vita di una persona perché la conoscenza di funzionamento e prestazione del nostro Ente di categoria possa essere lasciata all’improvvisazione e alla approssimazione. Voglio ricordare a riguardo che la legge istitutiva della gestione separata del ’96 non prevede l’integrazione del minimo cioè se si ha una pensione al di sotto di quella sociale, non è prevista alcuna integrazione quindi è importante versare i contributi da subito. La copertura di maternità, paternità, malattia, degenza ospedaliera, assegno nucleo familiare, la possibilità del riscatto della laurea, la contribuzione volontaria e l’indennità di adozione e affidamento pre adottivo, sono solo alcuni degli istituti solidaristici della gestione separata, spesso ai più sconosciuti ai quali si dovrebbero aggiungere, come vi hanno detto stamani sia il presidente dell’INPGI Camporese che il Segretario della Federazione Lorusso, si dovrebbe aggiungere il condizionale , qui è d’obbligo, considerando che si tratta di delibere trasmesse il Ministeri vigilanti per la approvazione di legge, la copertura assicurativa per infortuni professionale ai Co.co.co., e la copertura sanitaria per i giornalisti non dipendenti attraverso un’ apposita convenzione che sarà sottoscritta con la Casagit, quest’ultima dovrebbe riguardare quasi 9 mila iscritti alla gestione separata. Si tratta dunque di misure storiche che rappresentano una risposta concreta all’estendersi dell’area del lavoro, non è un momento facile ma dobbiamo impegnarci tutti con rigore e responsabilità per far funzionare il nostro Istituto e continuare a garantire un sistema previdenziale adeguato alla nostra categoria. Il sistema di protezione sociale dei giornalisti è ampio ed articolato ed io con il prezioso ausilio degli uffici dell’INPGI sono sempre a vostra disposizione per qualunque informazione e chiarimento e laddove io non arrivo come molti colleghi sanno, io sono il tramite per arrivare direttamente poi alla soluzione dei problemi con appunto l’aiuto degli uffici chiamando direttamente l’Istituto a Roma. Anch’io ho una grande paura e questo volevo sottolinearlo, ho apprezzato molto l’intervento della collega che mi ha preceduto e abbiamo una grande paura però questa non ci deve abbattere assolutamente. Per quanto mi riguarda la nave ha 50 anni, è quasi naufragata però non ha importanza, io credo che ci possa comunque e sempre rialzare e anche si lavora poco e si guadagna poco, io in questo continuo a crescere e questo mi fa vivere e la mia dignità mi sostiene ancora tanto perché io ci credo in questo mestiere, non sparirà, l’informazione c’è, c’è una grande richiesta di informazione, i mezzi di strumento un po’ hanno distrutto questo lavoro ma noi troveremo sicuramente la soluzione per andare avanti. Grazie.
Moderatore
Grazie Stefania, soprattutto per il lavoro svolto che è un lavoro non semplice visto che si tratta di un settore un po’ particolare, non ci sono gli automatismi che ci sono per i contrattualizzati. Io adesso do la parola ad Adelmo Gaetani che sta qui e, siccome volevo dirvi che ci sono in questo momento sette iscritti a parlare, se non ci sono altri iscritti, tranquillamente abbiamo il tempo per farlo, quello che vi raccomanderei è che se risparmiamo uno, due minuti, riusciamo a chiudere questa sessione in serata con tutti quanti gli interventi.
Adelmo GAETANI
“Meglio fare il giornalista che lavorare” , ebbe a dire Luigi Berzini Junior, bei tempi! E che tempi, insomma! Adesso dal quadro che ci è stato rappresentato negli interventi di questa mattina, e di pomeriggio, ci rendiamo perfettamente conto delle difficoltà, della gravi difficoltà della nostra categoria ma non è un fatto, non voglio restringere i problemi nostri ma in generale della informazione e della qualità, della informazione. Gli interventi del Presidente dell’INPIGI, del Presidente della Casagit, del Presidente dell’Ordine del Giornalisti di Puglia, la relazione del Segretario generale della Federazione della stampa ci hanno proiettato un film che non è bello vedere, non è agevole vedere. Alessandra ha evocato la paura ma con quella forza interiore per darci una indicazione, un indirizzo alla paura, di uscita dalla crisi. È stata richiamata la necessità dell’unità dei giornalisti, unità un po’ incrinata da polemiche spesso pretestuose che vedono in modo quasi sistematico protagonista l’Ordine nazionale dei giornalisti contro Tulemond…, tutto il resto del mondo della nostra realtà associativa. Io che dell’Ordine nazionale faccio parte mi voglio soltanto soffermare su un aspetto, io e Felice Salvati, che adesso è dovuto andar via facciamo parte di una minoranza militante ma poco, come dire, non capace, incapace di incidere perché i numeri sono quelli che sono insomma, sono stati ricordati da Raffaele, ma il problema principale è cambiare la composizione nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Io personalmente ma mi posso permettere di portare qui anche il punto di vista di Felice, sono convinto che questo esercito di consiglieri nazionali vada ridotto, vada abbattuto, siamo 156, in realtà 12 fanno parte del Consiglio di disciplina, ma insomma in tutto sono 156, saremo, saranno la prossima volta 160 con una maggioranza peraltro di pubblicisti, le problematiche sono state ricordate da Raffaele. Il problema qual è? Abbattere quel numero ma non perché 160 sono troppi, sono troppi se noi andiamo a guardare anche la composizione del Consigli nazionali degli altri ordini professionali, e difficile si arriva a 20 per gli altri, per esempio gli avvocati che pure come numero di iscritti doppiano quelli dei giornalisti. Ma c’è anche una esigenza di efficienza dell’organismo e degli organismi di gestione e anche una esigenza di risparmio della gestione. Annualmente il Consiglio nazionale e tutti gli organismi insomma che in qualche modo vanno a costituire, lo vanno ad organizzare, attraverso i quali si organizza il Consiglio nazionale, ha un costo di circa 1milione e mezzo ma credo anche superiore al milione e mezzo l’anno, che è una cifra imponente considerando che il bilancio dell’Ordine è di circa 5 milioni l’anno. Semplicemente, riducendo semplicemente di due terzi ma credo che si possa andare anche oltre, il numero dei Consiglieri nazionali, cioè portandoli a 50 ma credo che si possa andare anche a 40, anche a 30, noi realizzeremmo una economia di circa un milione di Euro l’anno. Dice “ma per fare che cosa? Per fare un investimento?” No. Per orientare queste risorse recuperate sulla formazione per qualificare la formazione professionale, la nostra formazione. Adesso la formazione è una cosa importante, se n’è occupato, ne ha parlato Valentino Losito, non voglio trattenermi oltre, però noi con queste risorse avremmo la possibilità di perfezionare, di renderla più professionale, di arricchire i colleghi attraverso corsi di aggiornamento, cioè corsi che accompagnino la mutazione del lavoro e della professione in questi anni così veloci nel definire le novità. E in Parlamento è incardinata una proposta di legge sui problemi della editoria nella quale si parla anche della revisione del Consiglio nazionale dell’Ordine, so che, lo so perché l’ho ascoltato durante la sua audizione alla Camera la scorsa settimana, presente anche il Direttore Tartaglia, so che il Presidente della Federazione della stampa, il segretario generale della Federazione della stampa è molto impegnato su questo tema, c’è una proposta del Governo secondo la quale il Consiglio nazionale dovrebbe essere un nuovo Consiglio nazionale, dovrebbe essere formato da 18 membri, quindi 18 contro gli attuali 156 o 160, non so se 18 è il numero giusto ma so che bisogna avvicinarsi a quel numero. Lorusso è molto impegnato su questa tematica ma sono impegnati tutti quelli che vogliono il bene dell’Ordine, il bene dei giornalisti e il bene dell’informazione come presidio di libertà e dei democrazia nel nostro Paese. Grazie.
Moderatore
Grazie ad Adelmo. Nino Abbate, prego.
Nino ABBATE
Grazie. Quattro fasci di luce su alcune situazioni che non sono affatto chiare e però io c redo che anche l’Assostampa debba darsi una sveglia e guardare bene in questa direzione. La prima, gli Albi speciali. Ormai sono due o tre convegni, congressi a cui partecipo dico sempre la stessa cosa ma soprattutto oggi che ci sono questi 150 mila iscritti di cui non si sa quanti siano e facciano i giornalisti, io c redo che gli Albi speciali vadano soppressi, servono secondo me soltanto per pagare la quota all’Ordine professionale. E quindi diventano un peso per tutto il resto, e non solo, ma bloccano posti di lavoro possibili per i giovani perché le varie associazioni, i sindacati, i preti, le diocesi, tutti quelli che, i Presidi, che o utilizzano gli albi speciali ci mettono il Presidente a fare il Direttore del giornale. Albi speciali, devono essere aboliti. Secondo, è possibile che non possiamo sapere niente noi come Assostampa dei contratti dei Direttori responsabili dei Giornali? Dico questo perchè Raffaele mi raccontava qualche tempo fa che in occasione di un contratto di solidarietà, un grosso giornale, il Direttore aveva detto “ noi abbiamo a disposizione 1 miliardo- mi pare – o due miliardi, però tenete conto che il 50% è per me e il 50% che resta per i 56 giornalisti dell’azienda. Ora a parte, non do giudizi morali ma credo che come sindacato dovremo avere un rapporto con l’editore anche in funzione di questa carica carismatica perché il direttore generale, il direttore responsabile decide i collaboratori e decide i licenziamenti su suggerimento dell’Editore. Altra figura, il Direttore editoriale, il direttore editoriale non esisteva fino a qualche anno fa, adesso il direttore editoriale ce l’ha la neonata televisione Web che ha un direttore responsabile che o è una burletta, uno che mette la firma oppure è il proprietario stesso e poi il direttore editoriale che è quello che manovra per avere contributi, contrattare due caffè in cambio di una pubblicità e cose di questo genere, che mette il naso sull’informazione. Perché i giornalisti o non ci sono, e sono testate finte, oppure ci sono e fanno parte di quell’esercito che arriva dopo di te, se tu 200 Euro no le vuoi, non li vuoi per lavorare, arriva un altro, arriva da anno 100, e il problema è risolto. Non è informazione, non è libertà, non è pluralismo, qualche cosa la dovremmo dire e la dovremmo fare. Un altro fascio di luce va proiettato secondo me su un altro grande equivoco, la legge 150, lo dico perché mi sono rotto le ginocchia andando a Roma visto che era una battaglia che mi riguardava all’epoca, perduta. Un delitto imperfetto, come si scrisse il giorno dopo l’approvazione di quella legge. Allora in quella legge ci sono tre figure professionali, una vecchia, il giornalista che è a capo dell’ufficio stampa, una nuova, il comunicatore che non si sa bene chi sia, io ricordo solo che per iscrivermi all’Associazione nazionale dei Comunicatori pubblici, dovetti portare un curriculum di dieci pagine per sostenere un colloquio, parlo del 1998, e sostenere un colloquio con Rovinetti e gli altri che poi mi dissero “ va bene”. Allora le competenze non sono scritte da nessuna parte in quella legge lì, e notate per inciso, un collega Giornalista mi disse “ caro Nino, oggi se non ci buttiamo sulla comunicazione, il futuro non esiste più per noi giornalisti”. Allora il giornalista si traveste o si veste da comunicatore e quando ha qualche competenza , va bene. Quando non ce l’ha, è il disastro, e lì arrivano le raccomandazioni, il figlio dell’Onorevole, il marito della senatrice, ect., ed altri fattacci. L’altra figura, bellissima, nuova professionalità, nuovi posti di lavoro soprattutto i giovani, appena laureati, Scienze della comunicazione, benissimo, i portavoce. Chi sono i portavoce? La figura più squallida secondo me del panorama informativo e comunicativo perchè non sono né carne e né pesce, chiunque può essere portavoce, anche noi che siamo qui, arriva un assessore, prende la buona collega e se la porta a fare il portavoce. Ed il contratto lo fa lui, 20 mila, 40 mila, 60 mila all’anno. Noi non sappiamo nulla. Tutto questo a me non pare che vada nella direzione della informazione né del pluralismo né della tutela contrattuale e né soprattutto, io ho un’età veneranda per cui non devo fare più contratti ma mi dispiace per i miei figli professionalmente, per i miei nipoti professionalmente ai quali io non so che dire, non so che dire perché su quella barca, Alessandra, io c’ero ma sono stato buttato fuori e allora mi sono messo a camminare perché sono uomo di pianura e ho trovato anziché la pianura, gli acquitrini malsani, paludosi, per la professione giornalistica. Quasi quasi i giovani oggi si vergognano di dire che sono giornalisti, si vergognano perchè qualcuno gli dice “ allora ti pagano bene”. Valli a spiegare che gli danno 5 Euro ad articolo. Vaglielo a spiegare. Terza, altro fascio. Le collaborazioni, le consulenze, queste sono un altro mercato dele vacche grasse per alcuni, inesistenti per altri, esattamente come il portavoce. La logica è uguale, una logica clientelare, politica, vecchia, stravecchia che dovrebbe essere spazzata via se vogliamo parlare di futuro, di cambiamento, di riforme delle quali ci riempiamo la bocca a tutti i livelli, a tutti i livelli. E qui qualche cosa la dovremo anche dire, non so se è dell’associazione della stampa o dell’Ordine ma molti portavoce sono giornalisti iscritti all’Ordine. Poi l’ultima cosa volevo dirla sulla deontologia professionale. Scusate, io non ci credo più. Quando devo vedere uno che inventa documenti falsi viene sospeso per sei mesi, in questi sei mesi il suo editore lo nomina “ Direttore editoriale di un’altra collana, lo paga il doppio, lo ritorna, è reintegrato e torna a prendere il suo bel milioncino di Euro, un milione di Euro all’anno. Non ci credo più quando una spia dei servizi segreti vien espulsa, radiata dall’Ordine e dopo un anno ci si dimentica ma perché in fondo poi, poveretto, che ha fatto? Vien reintregrato e ricomincia a scrivere. Non ci credo più quando Napolitano deve graziare un collega. Capite. Non ci credo più. Da una parte e dall’altra. Un po’ occorre che noi cominciamo a fare i seri e a crederci sul serio noi sulla nostra professionalità. Quando parliamo di professionalità e di qualità sappiamo bene di che csoa parliamo, è che li dobbiamo mascherare secondo i desideri degli editori o di chi per loro, altrimenti ci cacciano via. Facciamo le vertenze? Li denunciamo? Non ci prende più nessuno. Allora il Sindacato che deve fare? E noi siamo presenti sul campo, ci chiamano i colleghi, vertenze, 20% in meno, decimazione della redazione, andiamo lì, facciamo il primo scontro, dopo di che i colleghi mi dicono “ senti, per favore l’Assostampa si deve ritirare dalla trattativa. Gli avevano già chiamati, se non li cacci, tu te ne vai. Risultato, riduzione del 20% l’anno dopo stessa manovra, altro 30%, eliminazione delle indennità di redazione, tre licenziamenti su cinque. Uno in part time e due licenziati. Il primo anno e l’anno successivo un altro licenziato, però l’anno dopo si sono rivolti al sindacato e le cose sono state un po’ impattate. Qual è il risultato che abbiam raggiunto? Che non potessero nessun altro per due anni se non un giornalista. Perché qual era il trucco? Assumevano con la qualifica di giardiniere. Capite? Allora non è facile per nessuno, però qualcuno che ha la buona volontà e il coraggio un po’, è la vecchiaia che poi dà il coraggio, dovrebbe essere il contrario ma i giovani, io capisco, che siano in qeuste condizioni ma insieme credo che ce la possiamo fare. Io ho sempre avuto molta fidcuia nell’assostampa e soprattutto mi è sempre stato di aiuto Raffaele Lorusso, lo devo dire anche non solo a livello personale ma professionale, proprio come qualità delle risposte e qualità della presenza che poi si tramuta in amicizia, in presenza costante. E quello che ha fatto lui io credo che il mio ringraziamento doveroso già gliel’ho dato, credo che anche noi dovremmo tutti ringraziare Raffale Lorusso per quello che ha fatto per l’Assostampa e per noi. L’augurio è che il nuovo gruppo dirigente segua la scia. Raffaele mi è piaciuto soprattutto quando è andato alla Federazione nazionale della stampa, ho letto le risposte che ha fatto, ho letto le audizioni, ho detto “ beh, adesso se Raffaele sparava, alzo 30, adesso spara alzo zero, fa benissimo. Grazie.
Moderatore
Grazie a Nino bbate. La parola a Nico Lorusso, raccomandando a tutti cercando di finire stasera, insomma.
Nino LORUSSO
Cercheremo di essere brevi, come si diceva una volta. Non siano, per i quali ringraziamenti a Raffaele, che è stato chiamato ai più alti incarichi, come si diceva una volta, però ora sono stato attirato da una cosa che è stata pubblicata sul sito nazionale dell’Ordine dei giornalisti proprio oggi, qualcuno ha ritenuto di dover pubblicare una simpatica tabellina istruttiva che qualcuno dovrebbe andare a guardare con attenzione con la quale si giustifica, dice la nota, “ lavori e costi del consiglio nazionale a Milano”. Durante l’Expo l’Ordine nazionale dei giornalisti ha ritenuto necessario riunirsi come molte organizzazioni presso Palazzo Italia all’Expo di Milano, naturalmente è successo un putiferio perché qualcuno avrà detto “ proprio durante l’Expo dovete andare a fare il consiglio nazionale, la spending review, queste ose qui”, veniamo a scoprire che mediamente, non sono notizie nuove però è sempre leggerlo, che mediamente una riunione del consiglio nazionale costa 114 mila Euro ogni volta che si riunisce. Bontà loro, dicono loro, la riunione di Milano è costata soltanto 102 mila quindi meno della media solita, quindi c’è andata anche bene, noi abbiamo speso 10 mila Euro in meno. Francamente avrei preferito che quei fossero spesi per la nostra formazione, per iniziative di solidarietà nei confronti della categoria, non è demagogia però quando poi mi rendono conto che sono gli stessi che iscrivono quelli che si definiscono giornalisti e che poi vanno a sfottere i nostri colleghi quando lavorano fuori dalle conferenza stampa, si piazzano con le telecamere e vanno sventolando tesserini di giornalisti pubblicisti dicendo “ io sono un giornalista, posso permettermi di venire a sfotterti e a romperti le palle mentre stai lavorando”, fanno cadere un corto circuito che colpisce la credibilità e la autorevolezza nostra, di tutti. Noi maneggiamo cose delicate, ma come diceva Raffaele nella sua elazione, siamo considerati poco autorevoli. Siamo sicuramente considerati poco autorevoli oggi a Dicembre, quasi Dicembre 2015, meno autorevoli di simpatiche canaglie come i buoni Fabio e Mingo buttati fuori da Canale 5 o di Alesio Giannone, per l’umo della strada quello che dice la verità è Pinuccio, non è quello che trovano scritto sui giornali o che leggono al telegiornale, noi siamo considerati parte del potere, quindi parte del problema. Che i guitti di avanspettacolo che fanno killeraggio a comando, facciano il giornalismo, io essere considerati parte di quel giro lì ricordo che nella selezione per sostituire Fabio e Mingo buttati fuori dalla trasmissione di Antonio Ricci, una selezione tutta informale, era preferibile avere il tesserino dell’Albo in tasca per andare a prendere il posto lì di collaboratore, di attore, non stiamo parlando di nessuna altra cosa, di una persona che interpreta una parte, però io mi sarei anche scocciato un po’ di parlare di deontologia e di congressi dal sindacato però anche se vengo a sapere nella scorsa settimana che l’Ordine ha una sua Commissione uffici stampa che parla al suo interno bellamente di modifiche della legge 150 mentre nulla dice su chi fa ufficio stampa senza aver visto una redazione, un po’ mi incazzo perché questi per esempio vogliono, da quello che si sa, stabilire che per esempio il portavoce lo possono fare solo i giornalisti. Voi direte “ ah, bene, posti di lavoro in più! No. Sbagliato. Significa, probabilmente posto di lavoro in più per qualcuno, ma significa uccidere con il beneplacido dell’Ordine, il ruolo di terzietà dell’ufficio stampa soprattutto negli Enti publici nel senso, di persone che possono dire di no a qualcuno, anche con le guarantigie.. del contratto, invece il portavoce non può dire di no, il portavoce porta la voce. E che sia scritto o no all’Ordine, quella fu una scelta all’epoca della scrittura legge 150, una legge zoppa, un alegge che non funziona, una legge che ha dei problemi però fu una opzione data giustamente a dire, va been, può essere anche giornalista ma non è necessario che lo sia per uno che deve fare soltanto il mestiere di portare la cartuccella alle redazioni. Guardacaso però i nostri soloni dell’Ordine quando si parla dell’’istituzione del job acts, non se ne parla. Noi ci troveremo di fronte a questioni molto gravi a breve su come vengono assunti e come potranno licenziate persone a secondo delle proprie inclinazioni o di simpatie nei confronti del Direttore però di tutto questo non se ne parla. Io vorrei che dal congresso regionale della puglia venga un messaggio e che arrivi chiaro e dritto, noi non vogliamo fare i bilanci e bilancini, i 160 consiglieri nazionali, non me ne voglia il buon Adelmo che fa il suo dovere, sono troppi e sono uno scandalo, non ci interessa, e venga dritto dalla Puglia che entrare nella discussione di chi deve fare entrare a farne parte e fa parte della campagna elettorale permanente che si svolge sui Social network, a colpi di post. Non ci interessa fare polemica sui Social Network, Raffaele ha citato nella sua relazione un certo Ciccio Franchismo, mi piace questa dicitura, di qualcuno. Ebbene, a noi interessa la cultura sindacale e la cultura della rappresentanza che è quella nel nostro Dna, le falsità diffuse a piene mani come si faceva una volta andando a buttare mazzate in mezzo alla strada nei confronti del Sindacato, non ci toccano, non ci fanno paura per dirla con Alessandra, sappiamo che Raffaele, il gruppo dirigente della Federazione della Stampa farà il suo dovere per il rinnovo del contratto e sarà anche un monito perché come il Ministro Poletti vuole eliminare, lo ha detto, la contrattazione tornando al vecchio cottimo, farci lavorare 24 ore. Nela nostra categoria lavorare 24 ore è al cosa più semplice sulla faccia della terra perché notizie come le Azioni di Borsa funzionano h24 anzi h 25, se fosse possibile, voglio dire, il buon poletti sta dicendo agli editori “ bene, trovatene qualcuno che è in grado di lavorare 25 ore”. Anche da me, nel settore che si dice più garantito di tutti, – aprirò una brevissima parentesi sul fatto che appunto siamo così garantiti, che qualcuno negli organismi di rappresentanza, nei corridoi degli organismi di rappresentanza della pubblica Amministrazione cioè quelli che devono andare a contrattare con il nostro Sindacato dicono “ state attenti che togliamo anche il contratto agli addetti stampa, li mandiamo a fare gli impiegati ”, a quelli che non possono dire di no, ritornando di cui sopra. La nostra categoria è dove io lavoro, e qualcuno mi dice “ devi lavorare h24”, ti dicono lavora h 24, ma lo devi fare”, se succede una cosa non puoi dire quasi di no. Poletti, gli amici suoi del Governo ci vogliono mettere il timbro su. Io sono disposto a lavorare h24 purchè ci paghino in maniera commisurata all’H24, come dire, non abbiamo paura però a quel punto, se dobbaimolavorareh24, cioè ci dicano o non ci diano la carta di pepe, beh, dell’indennità, di reperibilità o di qualcos’altro, si ragioni di monte ore annue per esempio, di cose di questo genere qui cioè tu hai un contratto, devi essere pagato tot, X ore? Bene, le ore si facciano su nastro annuo, sono cose elementari che qualcuno che parla seriamente di flessibilità è in grado di stabilire, non sono concetti però queste cose fanno paura alle aziende perché poi dicono “ ah, va bene, quello ha lavorato solo tre mesi”, perché si può lavorare anche tre mesi, e per sei mesi sta a casa? Poi come dobbiamo fare? Però rispetto a queste cose forse è il caso che si cominci a parlare con cognizione di causa. Chiudo qui perchè sappiamo perfettamente che noi abbiamo bisogno di unità ma io non voglio l’unità della categoria con carrozzieri, fruttivendoli, fabbri ferrai, persone diciamo che hanno dignitosissime professioni, ma questi non devono decidere di quello che rientra nella nostra professione, noi abbiamo bisogno di unità ma di unità sindacale a tutti i livelli per avere un sindacato forte e autonomo nella contrattazione che si farà da qui al 1 Aprile. Grazie.
Moderatore
Grazie a Nico Lorusso. Adesso Francesco Strippoli, prego.
Francesco STRIPPOLI
Care colleghe, cari colleghi, cari tutti e pochi. Come spesso succede nelle cose nostre, farò solo qualche riflessione, non è un intervento preparato perché non mi ero preparato, francamente pensavo che il dibattito slittasse a domani per provare sa dire qualche cosa di più articolato per cui dirò qualche ovvietà e spero qualche suggerimento di buonsenso. Cominciamo dalle ovvietà, più che ovvietà, le cose risapute di cui sempre abbiamo parlato, di cui spesso parliamo quando ci incontriamo nelle sedi come queste, dove siamo pochi, o quando ci incontriamo per strada, quando ci incontriamo nei momenti di lavoro, quando riflettiamo anche sui giornali perché anche di queste cose si parla sui giornali, lo dico sempre ai miei colleghi soprattutto a quelli più giovani di leggersi molto certe analisi che escono a cominciare da quelli che escono sul Corriere della Sera per capire come sta cambiando, come è cambiato il mondo del lavoro e come appunto, dentro quel mondo del lavoro dobbiamo agir. Dunque, la prima ovvietà, lo sappiamo tutti, è il momento di maggiore debolezza del Sindacato, e quando diciamo “ Sindacato” non diciamo “Federazione nazionale della stampa” ma diciamo “ il Movimento Sindacale”, e questo poi è come un cane che si morde la coda ogni volta, se è debole il Movimento sindacale, c’è meno adesione alle proposte del Movimento sindacale del Sindacato e meno adesioni ci sono e meno appeal esercita e meno capacità ha il Sindacato di promuovere le proprie questioni e quindi i ragazzi sono sempre più scoraggiati, noi ne siamo un esplicito esempio di come il mondo giovanile, a parte l’intervento di Alessandra Cavallari, considera le cose sindacali. È il momento di maggiore debolezza del Movimento sindacale ma è anche il momento di maggiore debolezza della controparte degli Editori, lo rivela la scarsità delle idee e la scarsità delle proposte, può essere da questo punto di vista un piccolo passaggio emblematico quello che è successo a noi, alla esperienza del Corriere del Mezzogiorno in cui lo ha ricordato Raffaele nella sua bellissima relazione, l’esigenza che ha guidato il gruppo della delegazione trattante che c’era stata inviata da Milano direttamente, non era neanche l’Amministratore delegato, era quello di contenere i costi. Emerge proprio uno sguardo esangue sul futuro, non hanno alcuna idea nella testa, probabilmente è un effetto, una conseguenza delle situazioni che ci sovrastano e che non si riesce a controllare, non ci riusciamo a controllare noi e non riescono a controllarle loro, non riescono a controllarle la nostra controparte. La conseguenza è che si prospetta questo come i precedenti, un contratto debole, debole è una parte, è debole la controparte, sarà un contratto probabilmente, facendo omaggio allo sforzo che il gruppo dirigente della Federazione Nazionale della Stampa sta facendo sarà un contratto difensivo per gli uni e per gli altri. Naturalmente non sto teorizzando, non vorrei essere equivocato che il contratto sia superfluo, come qualcuno appunto anche qualche metr a pensè.. che scrive sui giornali, su cui scriviamo anche noi sulla necessità del superamento della superfluità, si può dire così, del contratto collettivo di lavoro. Il contrario, anzi il contratto è la nostra stessa forza, ce lo insegna Giancarlo Tartaglia, ce lo diciamo tante volte. Non c’è sindacato senza il contratto da stipulare e non c’è contratto a maggior ragione, se deve essere un contratto equo e collettivo, che si possa stipulare senza il sindacato. È un contratto difensivo naturalmente, il contratto ogni volta, ci diamo, è il contratto della sopravvivenza. Naturalmente il contratto della sopravvivenza a cui noi molto teniamo, io non sto a spendere parole su questo, sennò direi le stesse cose che tanti hanno detto prima di me e meglio di me sul contratto. Non significa che il contratto non debba contenere degli elementi di modernità la quale modernità, e qua ancora esprimiamo gli ossimori, sto procedendo per ossimori, il sindacato è necessario ma fa il contratto debole, il Sindacato deve cogliere gli elementi di modernità ma la modernità che oggi ci troviamo di fronte non è una modernità benigna, abbiamo sempre, soprattutto quelli della mia generazione che sono cresciuti negli anni ’80, hanno sempre considerato sui libri che si studiava a scuola la modernità come una modernità benigna, dal moderno è sempre arrivato una cifra di progresso. La modernità di oggi è la modernità che ci ha insegnato Alessandra, è la modernità del “5 Euro a pezzo” o modernità della generazione “ ma è lavoro”, è la modernità della debolezza, la modernità dell’incertezza, la modernità della precarietà, è la modernità che io considero malata, selvaggia ed ingiusta, questa è la modernità dei tempi correnti. Una condizione che qualcuno, quelli che appunto parlano bene, che amano una condizione ottocentesca dei rapporti di lavoro, e anche qui guardo Luciano che è un esperto di queste tematiche quando dico “ rapporti di lavoro” non intendo soltanto i rapporti di lavori giornalistici ma ai rapporti di lavoro tucur sebbene spesso noi giornalisti siamo, come posso dire, delle avanguardie, delle innovazioni per così dire moderne e ottocentesche. E chissà se non è per questo che Lorusso sente il bisogno di citare Rosa Luxburger nel passaggio appunti finale delle cose che ci ha detto. Fin qui ho detto l’ovvio e il risaputo, cioè tante volte ce le siamo dette queste cose e ce le diciamo anche oggi, ce le siamo dette tante volte. vorrei, e qui per un minuto, per due minuti lascerò la traccia del sentiero battuto per parlare di cose un pochino, di quello che vorrei ecco, un sindacato in questo momento un pochino più orientato, se posso dire così, sul terreno della politica e no è una bestemmia, vorrei richiamare qua proprio letteralmente le cose che ha detto Raffaele nella sua relazione. Pagina 9, per chi ce l’ha. Dice: “ la nostra proposta è di alimentare il fondo per l’Editoria attraverso un prelievo percentuale sulla pubblicità radiotelevisiva pubblica e privata. Abbiamo- passaggio più avanti- proposto che siano destinati al fondo per l’Editoria una percentuale delle risorse che le Fondazioni bancarie destinano ogni anno alle attività socio culturali, una parte del 5 per mille delle dichiarazioni dei redditi riservate alle attività Onlus oltre, ed io qua aggiungere una mia libera citazione- soprattutto una parte dei cosiddetti “ over the top” cioè i grandi aggregatori di rete la cui raccolta pubblicitaria dipende anche dalla quantità di informazione professionale. Sono assolutamente d’accordo, vi chiedo scusa, ho ricitato le cose dette da Raffaele perché sono delle cose che condivido fino in fondo e che vorrei e che diventassero patrimonio di tutti quanti noi, il fatto che ci sia poi questo passaggio fondamentale nella relazione di Lorusso è per me la migliore garanzia di un ruolo per così dire “moderno”, qui moderno nella accezione positiva del nostro Sindacato, cioè un ruolo proattivo e un ruolo di protagonismo attivo, diciamo così, anche uno sforzo di fantasia, uno scatto di energia, un lavoro,-lo vogliamo dire? Diciamolo- di supplenza anche nei confronti di un parlamento che spesso insegue una modernità malata. Non voglio aggiungere di più. È un momento di grande afasia del mondo politico che non percepisce, non percepisce a sufficienza, non percepisce fino in fondo ma è un mondo, appunto, un momento di afasia soprattutto della nostra controparte, stanno senza idee, non hanno nella testa nulla in questo momento per quello che riguarda il futuro. Per cui ribaltare attraverso queste cose che lucidamente e in maniera puntuale Raffaele metteva nella sua relazione, deve aiutare a ribaltare le condizioni di bilancio delle aziende se può servire e può servire mettere mano alla torta del pubblicitario radio televisiva alla tassazione degli aggregatori di notizie, e anche su questo appunto gli errori della classe politica sono micidiale. Su questo, come sapete, era intervenuto per esempio il Presidente del Consiglio precedente e cioè Letta, l’attuale Presidente del Consiglio – non mi viene il nome- ha ribaltato con una modernità malata quella idea di tassare i grandi aggregatori di notizie che lavorano e fanno profitto sul lavoro degli altri. Naturalmente – finisco, sto finendo- naturalmente non voglio esprimere un giudizio e una valutazione politica, non mi interessa, sto esprimendo un giudizio, una valutazione sul fatto, sulla proposta per cui non solo ribaltare le condizioni di bilancio ma recuperare il valore economico e sposarlo al valore professionale cioè se il giornalismo di qualità è la nostra àncora di salvezza, la barca sulla quale dobbiamo salire, può essere che questo giornalismo di qualità in parte debba essere anche a carico della collettività, a carico del contribuente per cui immaginare che una parte della Google tax.. vada a finanziare l’informazione di qualità e cioè i giornali e cioè quelli che dal lavoro di qualità possono orientare anche la pubblica amministrazione e farne su questo una questione anche di tutela della democrazia, mi sembra un passaggio ineludibile. Ancora u richiamo alla relazione di Raffaele Lorusso al quale aggiungo solo un “ grazie asciutto” per tutto quello che ha fatto e per la disponibilità che ha mostrato nei nostri confronti, recupero tre slogan, bagno di realtà, l’ha citato lui. Invito a stare uniti, lo ha fatto Cerrato, io mi sono semplicemente permesso di, diciamo così, aggiungere questo sforzo sul terreno politico. Se il Presidente del congresso mi dà un minuto, per fatto personale, diciamo così- grazie- per fatto personale, cioè per un fatto che riguarda il CdR del Corriere Del Mezzogiorno. È circolato in questi giorni un comunicato a firma del Coordinamento dei Giornalisti precari i quali lamentavano che i Giornalisti precari e i collaboratori del Corriere del Mezzogiorno non siano mai stati citati nei documenti del Cdr Corriere del Mezzogiorno e siano stati per così dire, trascurati dalla attività sindacale, sindacato, dalla assemblea del Corriere del Mezzogiorno, lo voglio dire in maniera molto asciutta, è un falso storico, è un falso storico, tutta l’attività sindacale negli ultimi anni dei sindacalista del Corriere del Mezzogiorno ma anche dello sforzo che l’assemblea ha fatto, è stata rivolta proprio per la tutela dei lavoratori più deboli. Non ci siamo riusciti, è vero, questa è una colpa, ammettiamo la colpa, non ci siamo riusciti, non siamo riusciti neanche a salvare le nostre retribuzioni che falcidiate come sapete tutti, dal contratto di solidarietà. Grazie.
Moderatore
Grazie a Francesco Strippoli. Io mi scuso ma ognuno ha il suo compito. Michele Fraleonardo, prego. Dopo ci sono altri tre interventi, quindi se riusciamo.
Michele FRALEONARDO
Buonasera a tutti. Io lavoro per Telenorba quindi settore emittenza privata e locale, non avevo particolare intenzione di intervenire però poi ovviamente l’intervento di Alessandra Cavallaro mi ha dato un po’ al sveglia, credo che l’abbia data a più di uno. La fotografia della situazione del settore l’ha già fatta Raffaele Lorusso nel suo intervento quindi è inutile andare a riepilogare però Alessandra ha raccontato una storia emblematica e ha puntato soprattutto su un altro elemento che mi sembra interessante, cioè le emittenti che pagano i contributi ai colleghi per ottenere poi la contribuzione a livello statale e poi non pagano gli stipendi o li pagano in maniera saltuaria. È un fatto gravissimo ovviamente, io mi ritengo privilegiato dal mio punto di vista perché lavoro per una azienda che nonostante tutte le difficoltà, la cassa integrazione, i licenziamenti avvenuti nello scorso settembre ha garantito a chi è rimasto stipendi e contributi pur con tutti i difetti che le ascriviamo continuamente e che Raffaele conosce molto bene. Io devo solo chiedere una cosa a Raffaele, al nuovo gruppo dirigente del Sindacato regionale, c’è un serio problema di finanziamento del fondo per l’emittenza locale sia per quanto riguarda la finanziaria in discussione, sappiamo che il fondo è intorno ai 20 milioni per quest’anno, ma non ci sono garanzie di rifinanziamento e soprattutto per il 2016 non c’è nulla, non c’è nessun capitolo ad hoc e ci vorrebbe una bella manciata di milioni. Purtroppo stiamo parlando di aziende assistite, questo è grave ma questo deriva da una situazione di sistema che insomma andrebbe rivisto completamente però c’è un problema impellente per il 2016. Quindi quello che io chiedo, l’appello a Raffaele a Roma è provare ad intervenire sul Governo per cercare di porre questo problema all’attenzione dell’esecutivo anche perché temo davvero seriamente che a partire dal 1 Gennaio alcune aziende potrebbero metter mano nuovamente a nuovi piani aziendali e temo purtroppo che il nuovo gruppo dirigente a livello regionale sia costretto a girare la Puglia dalla testa alla coda per andare a cercare di tamponare tutta una serie di situazioni perché se comincia a venir meno anche la più grossa azienda editoriale della Regione, non oso immaginare quello che succederebbe a quelle più piccole e meno strutturate. Grazie.
Moderatore
Maristella Massari, anche a lei raccomandando, sì, perché poi siccome ci si iscrive anche in itinere quindi per cercare di far parlare tutti, sennò rischiamo di slittare a domani insomma.
Maristella MASSARI
Vengo dalla Tv, anche se si tratta di molto, molto tempo fa. Vi volevo sottoporre ad una riflessione che poi è anche per guardare il nostro mestiere da una visione di prospettiva. E vi porto un esempio che qualche giorno mi ha fatto molto riflettere perché, smanettando in rete, mi sono imbattuta in una notizia di cronaca su un sito di informazione giornalistica o presunta tale che, in palese violazione di qualunque regola deontologica ma anche etica e morale, raccontava di un caso brutto di cronaca, non vi dirò quale, mettendo in piazza dettagli e particolari sulla privacy dei protagonisti in evidente barba alla legge. Incuriosita un po’ da questa rombante aggressiva presenza della testata sulla rete, ho scavato un po’ sulla firma riportate in calce all’articolo e ho scoperto che si trattava addirittura di un capo redattore o almeno così si era auto proclamato questo novello Napoleone salvo poi verificare che il soggetto in questione, come molti altri di questa testata, a ben vedere non era, non è nemmeno iscritto all’Ordine e nemmeno conosce poi la differenza tra un pubblicista e un professionista. Al di là della storia che purtroppo è uguale a molte, molte altre. Resta lo sgomento per una professione che viene abusata da chi è ignorante, ignorante perché ignora, perché gli viene consentito di vivere in questa ignoranza e nella illusione soprattutto da chi come questo presunto editore calpesta quella che probabilmente è una passione, un sogno, e la calpesta per portare avanti un progetto che fin dall’inizio parla solo di abusivismo e di precarietà, non assolvo affatto, è chiaro, l’auto proclamatosi capo redattore perché la prima regola del Giornalista è quella di restare ovviamente informato su tutto e soprattutto sulla professione. Questo per dire che non è più il tempo della tolleranza, il mio non è un intervento di pace. Serriamo i ranghi per difendere il nostro lavoro in una visione più allargata anche il nostro futuro e se il sindacato tutela chi il giornalista lo fa, lo è stato e vorrebbe farlo meglio, in questa battaglia di tutela della professione chiamo i causa anche un alleato importante, l’Ordine, perché sempre più nel mare magnum dell’informazione o presunta tale della rete, delle notizie liquide che arrivano a noi surfando on-line, occorre definire un confine, tracciare una linea, costruire un vallum adriani tra il vero, il verosimile e il nulla, che spesso ha più appeal della notizia vera perché gioca sulle paure, parla alla pancia della gente, di chi legge senza avere la capacità di discernimento, senza esercitare lo strumento che a noi invece è dovuto della verifica dei fatti. Si fa tra noi a questo proposito una battuta molto amara, siamo tutti giornalisti quando si commettono certe bufale mal riportate, e qui a nulla valgono i crediti, i seminari, non c’è obbligo di formazione che regga all’urto dell’abuso della nostra professione. E allora riprendiamoci il mestiere, esercitiamo la professione, quella competenza che abbiamo maturato sul campo e appreso sui libri, le condizioni disperate del lavoro non solo in Puglia affogano le nostre pagine di articoli confezionati purtroppo sempre più spesso fuori dalle redazioni, costringendo i professionisti a mero lavoro di scrivania. I numeri che ci ha dato oggi, stamattina, insomma Raffaele mettono paura, 230 nel 2009, 108 nel 2015. Il 50% di noi ha finito nel tritacarne di taglia a pioggia dei licenziamenti nel sold out di una professione che sta diventando sempre più tossica. È il mercato, questo cerbero a tre teste che non si sazia del 20, del 30% dei nostri stipendi, della solidarietà, della cassa a cui siamo costretti che abbassa la qualità con la carota della sopravvivenza. Questa lunga notte del mestiere ci apra ad una visione nuova, cambi la prospettiva anche del sindacato, non solo tutela del lavoro, non solo confronto sul contratto ma anche salvaguardia della professione o tra poco noi non avremo più neanche un contratto di cui discutere. Cavalchiamo la tigre della innovazione, domiamo la velocità e i flussi dell’informazione, sappiamo farlo, abbiamo gli strumenti, abbiamo il no haus, abbiamo la mente aperta, il Sindacato deve farsi garante con gli editori del principio che dietro ogni crisi si nasconde in realtà una grande opportunità. E allora riprendiamoci in mano il nostro futuro senza farci dominare dalle logiche dei tagli per equilibrare il bilancio di aziende che campano anche del nostro lavoro, e facciamolo rimboccandoci le maniche, ricominciando da quello che sappiamo fare meglio e forse anche bene, i giornalisti.
Moderatore
Grazie a Maristella Massari. Francesca Russi, prego
Francesca RUSSI
Anche io cercherò di essere breve semplicemente ho preso un po’ degli appunti partendo da alcuni interventi, da alcuni spunti. Mi dispiace, sono anche le sette, mi dispiace che purtroppo la platea si sia assottigliata però vorrei partire da una osservazione che riguarda proprio questa platea perché parliamo di futuro, del futuro della professione però manca probabilmente la parte in causa ovvero in questa sala manca il futuro non per semplice ragione anagrafica ma perchè è assente una intera generazione di giornalisti, uan generazione senza diritti e senza tutele, e per di più non semplicemente senza diritti ma una generazione che non ha la consapevolezza di avere dei diritti, che non sa che cosa è un contratto collettivo nazionale, una generazione che è stata isolata e abituata ad una contrattazione individuale che ha ben poco di contrattazione ma quasi più, ben più di accettazione del prendere o lasciare ed è proprio questa generazione che ha fatto della precarietà uno stile di vita che manca in questa sala e che spesso il sindacato non solo non sa cos’è, e quando lo sa, non ci crede più. Scusate se a questo proposito mi permetto anche partendo dallo spunto di Francesco prima, ho preso in prestito le parole dei colleghi del Corriere del Mezzogiorno, dei colleghi precari che dopo dieci anni si ritrovano non solo senza lavoro ma senza anche tutele, un sistema di walfare che li garantisca, avrei voluto che fossero stati qui oggi quantomeno per ascoltare e per confrontarsi ma la risposta che mi hanno dato è che dopo dieci anni di sacrifici, di completa assenza di tutele dalle ferie, dalla maternità, dalla malattia come si fa a credere nel ruolo del Sindacato? Ecco, io credo che da qui bisogna ripartire perché non ci devono essere, per me non ci sono differenze tra collaboratori e redattori, tra pubblicisti e professionisti, l’unica differenza che c’è per quanto mi riguarda è tra chi fa il giornalista e chi non lo fa, per questo credo che il Sindacato debba avere come primo compito quello di coinvolgere quanto più possibile i più giovani, deve andare a tutelare anche i più deboli e includere e proprio in questo senso credo che vada fatta una grande operazione. D’altronde se io sono qui non è per caso, non è perché ho sempre conosciuto il sindacato, perché un bel giorno di quasi dieci anni fa Raffaele si è presentato in Redazione e ha fatto un incontro con tutti i giornalisti, da quel momento io ho imparato che cosa è il Sindacato e ho capito che forse bisognava investire per tutelare non solo me stessa ma tutta la professione, la categoria. La seconda cosa, sono contenta che Raffaele l’abbia ripetuta nel suo intervento, credo che bisogna ripartire includendo i precari nei parametri in percorsi contrattuali che gli consentano comunque di avere delle tutele e dei diritti perché non è più accettabile pensare di svolgere lo stesso lavoro e avere una pesantissima disuguaglianza in termini economici, sociali, di garanzie e di tutele anche perchè ne va del futuro della professione. Come può essere sostenibile un sistema in cui manca il turnover, in cui ne escono dieci e se va bene, ne entra uno? Oppure come, sostenibile la cassa di un istituto di categoria come la Casagit in cui escono come ha detto prima il Presidente, meno sette milioni di contributi, in cui entrano meno sette milioni di contributi e ne escono più di cinque milioni di spesa sanitaria. È evidente che è un sistema così tracolla, non può più reggersi in piedi, ecco perché il compito e la sfida più grande del sindacato è ora occuparsi della precarietà ma di farlo insieme perché non ci sono soluzioni, penso, precostituite, ma solo vanno costruite con il confronto. Quindi bene anche l’idea di un patto generazionale ma che vada fondato sul mutualismo e sulla solidarietà da entrambi le parti, un patto generazionale però, si badi bene, che passa anche da un punto fermo, lo ha ricordato sempre Raffaele nella sua relazione introduttiva, i colleghi che sono in pensione vadano in pensione perché non possono pensare di occupare lo stesso posto in quella stessa scrivania, a noi si chiede il sacrificio e la solidarietà, va bene, ma al bando anche tutti gli egoismi, non si può chiedere di pagare loro benessere con la nostra precarietà, non possiamo più permetterci un sistema di questo tipo. Ringrazio anche Alessandra prima per il suo intervento, diciamo forse che è stato il più citato, anche io ho paura, glielo dico, però se siamo qui e se siamo insieme è perchè vogliamo parlare al plurale e vogliamo smettere di avere paura. Grazie.
Moderatore
Grazie, Francesca. Adesso la parola a Mimmo Mazza, per il penultimo intervento.
Mimmo MAZZA
Buonasera, colleghi, è il mio sesto congresso dell’Assostampa, il primo è stato nel 2000, ero piccolo, Francesca, ero under 30, qui adesso non ci sono forse gli under 40, non so se lo siete tu e Alessandra, insomma, Valeria, siamo messi male come generazione. Sono passati 15 anni, tanti capelli fa, direbbe qualche perfido o qualche perfida, ma insomma è passato tanto tempo, il mio primo congresso è stato nel 2000, sono ancora qua ma non sono ancora qua perché sono legato ad una poltrona che non abbiamo, ad un ruolo, sono legato all’amore di una professione e innamorato di una idea, che la nostra professione o la difendiamo noi scendendo in campo in prima persona oppure la deleghiamo la difesa ad altri che spesso non sono capaci, non sono formati, o peggio ancora, lavorano contro di noi come il collega pensionato iacopino, Presidente a nostra insaputa dell’Ordine, che tutto fa tranne che lavorare a difesa della categoria che pure dovrebbe rappresentare, non la difende dal punto di vista intanto deontologico perché io mi vergogno di far parte di un Ordine in cui ci sono dei colleghi che andrebbero buttati fuori a calci in culo, scusate, l’espressione, senza se e senza ma, ma che invece Iacopino difende perchè questi colleghi, facendo parte dell’Ordine, consentono a lui di spendere e spandere soldi come, senza davvero nessun pudore oggi l’Ordine pubblica sulla sua pagina web sottolineando le spese di Milano. Siamo qui non per celebrare un funerale ma per una festa, l’assostampa di puglia celebra il suo congresso con sei mesi di anticipo perchè il modello puglia è vincente e sono orgoglioso di far parte di un sindacato per essere riuscito a far eleggere un pugliese Raffaele Lorusso, il nostro Raffaele Lorusso alla Segreteria nazionale della Fnsi, segno che tanto di buono è stato fatto in Puglia, tanto di buono grazie a Raffaele naturalmente, non per merito nostro, ma per merito suo, tanto che è stato chiamato a guidare l’Fnsi, siamo quindi in anticipo rispetto alla scadenza statutaria per una festa perché il nostro segretario è Raffaele Lorusso, il nostro segretario della Fnsi è il nostro presidente. abbiamo fatto tante cose in questi tre anni, io parlo per me e parlo di 15, abbiamo giocato in difesa non potendo attaccare, siamo entrati nelle redazioni però, siamo entrati in molte redazioni, in altre dobbiamo ancora entrare ovviamente verificando che siano redazioni e che ci siano contratti perché altrimenti di niente stiamo parlando, io porto la mia esperienza di Taranto, siamo entrati ormai stabilmente in tutte le redazioni che hanno contratti a Taranto, abbiamo ancora una volta un delegato di Studio 100, l’altra era Alessandra, questa volta c’è la collega Valeria Dotilia.., Studio 100 è una vertenza che ci assorbe da cinque anni quando per la prima volta ci fu presentato un piano di ristrutturazione aziendale mai attuato, è una azienda che occupa nel suo gruppo 53 dipendenti, molti giornalisti, molti altri tecnici e amministrativi, quindi parliamo di tanti posti di lavoro, è una azienda che ha un futuro incerto che però adesso crede nel sindacato. Last minute, non lo so se last minute, però crede, è successo un fatto storico che vi voglio raccontare. Sabato scorso abbiamo fatto una assemblea di tutti i lavoratori in una sede che dovrebbe essere ostile, la Cigl addirittura, e l’adesione è stata oltre l’80%, sono venuti i colleghi da Brindisi, colleghi che non prendono lo stipendio da Agosto, e parliamo di uno stipendio ridotto del 50% perché sono colleghi che sono in contratto di solidarietà, l’ultimo stipendio preso è quello di Agosto ma quasi tutti avanzano tanti stipendi tra cui, giusto per citarne uno, quello di luglio 2011, tutti i colleghi di Studio 100 non hanno preso lo stipendio di Luglio 2011. E luglio 2016, con la prescrizione è vicina. Una situazione drammatica, adesso chiedono l’aiuto al Sindacato, noi l’aiuto glielo diamo, non aiuto last minute ma aiuto perché crediamo che il ruolo del Sindacato sia quello di difendere il lavoro entrando nelle redazioni e confrontandosi con gli editori, gli editori che sono pronti a tutto o meglio, indecisi a niente, scegliete voi la definizione. New midia, social network, i siti web? Noi siamo pronti ad accettare le sfide, non ci tiriamo indietro, perché l’atteggiamento della categoria spesso sotto questo punto di vista è stato quello di rifiutare la novità salvo poi con qualche contratto di lavoro successivo a farsela imporre. Questo è il modo di, è un approccio sbagliato, Raffaele lo dice sempre, ed io nel mio piccolo lo dico nella mia azienda, noi abbiamo avuto una azienda che ha avuto per troppi anni un direttore che parlava di new media, social network, facciamo il sito, il Direttore del Multimediale, peccato che è la stessa persona che non aveva un account su un twitter non era presente su Facebook e quindi gli dicevo “ ma di che cosa stiamo parlando? Cioè tu ci vieni a dire che dobbiamo cambiare, e tu che esempio ci dai? “ Fino a quando il nostro Editore ha candidamente ammesso che lui del multimediale non se ne frega nulla perché il multimediale non porta niente, non se ne frega nulla. Questo non significa aver accettato questo, noi la sfida la dobbiamo cogliere ma non dobbiamo farci trovare impreparati dalle sfide del Multimediale anzi dobbiamo noi dominarle le sfide, dobbiamo essere noi a confrontarci e a portare gli editori sulla strada che può essere giusta, la ricetta magica non ce l’ha nessuno e abbiamo tutti paura ma abbiamo anche, credo, se stiamo qua, tutti la forza di cambiare insieme la nostra professione. Paura? Non lo so. Certezze non ne abbiamo, n on so se abbiamo paura, certamente abbiamo la voglia di fare il possibile per difendere l’amore di quando eravamo piccoli, il mito della nostra professione è fare il giornalista, stare sui posti e raccontare le cose, fin quando sarà possibile naturalmente e non di farlo purchè sia, il lavoro va retribuito, noi abbiamo nemici degli editori, abbiamo nemici una classe politica che passa il suo tempo spesso non avendo mai lavorato nella loro vita di prima, passa il suo tempo a demolire il lavoro e il lavoratori e anche le rappresentanze dei lavoratori, passa a demolire il Sindacato, l’ultima uscita sciagurata è di Poletti, lo avete ricordato, quello per il quale l’orario di lavoro non esiste. Ora per noi giornalisti non esiste l’orario di lavoro, parliamoci chiaro, non abbiamo un badge, non abbiamo un marca tempo, non esiste per chi come me articolo 1, non esiste per chi come Alessandra,. Se viene inviata dal capo servizio a seguire una conferenza stampa, viene pagata 5 Euro a prescindere se quella conferenza stampa dura un minuto o tutto il giorno. Sempre quello è il prezzo. Non so se poletti voleva estremizzare e portare il tuo modello a sistema ma con questo governo non si può davvero escludere nulla. Voglio concludere parlando di due cose, i pensionati. Si è creata questa divisione, questa distinzione, questa lotta, più o meno artificiale ma certo avendo un Presidente dell’Ordine nazionale pensionato, tutto può essere. Prò i pensionati non sono tutti uguali, come non siamo tutti uguali noi, io voglio citare ad esempio un altro pensionato, il nostro presidente dell’Ordine regionale, Valentino Losito con quale invece si è creato un rapporto di leale continua e costante collaborazione su tutti i fronti, un ‘ordine coraggioso quello di puglia che ha avviato la revisione dell’Albo per esempio, un Ordine con il qual e è possibile confrontarsi con la formazione, certo, con le piccole risorse che passa l’ordine nazionale e anche con le stupide invidie dell’Ordine nazionale che, se c’è un relatore che fa parte della loro corrente, il corso viene accreditato e magari quel corso vale anche 8 crediti. Se per caso, per sfortuna o per sventura si parla di contratto di lavoro e c’è qualcuno di noi o c’è qualcuno di più prestigioso come il Direttor Tartaglia, il corso ha grosse difficoltà ad essere accreditato oppure vengono riservati due crediti perché “voi non capite nulla”. E meno male che ci sono loro che capiscono la nostra professione, della nostra professione. Quindi non è vero che con i pensionati c’è competizione, ci sono pensionati e pensionati e pensionati come Valentino, io sono felice di avere colleghi pensionati come Valentino, ma come anche Adelmo che adesso guardo, voglio dire, c’è un modello pugliese che funziona, un Fnsi che funziona anche nell’Ordine. L’ultima cosa, e le cose da fare. Abbiamo tante cose da fare, intanto l’unica paura che abbiamo è quella non avere più Raffaele, di non avere più Raffaele come Presidente, lo dobbiamo sostituire, lo dobbiamo prendere la sua eredità, e la sua eredità è una eredità pesante, perchè? Perché parliamo di una persona che poi per la sua bravura è stato chiamato a fare il Segretario nazionale dell’Fnsi. Abbiamo la paura ma anche l’orgoglio di sostituire Raffaele e ce la possiamo fare tutti insieme, ce la dobbiamo fare e sono convinto che con la guida di Bepi Martellotti e del collega e amico Bepi Martellotti con il quale abbiamo fatto tante battaglie in Assostampa e anche nel Cdr de La Gazzetta del Mezzogiorno ce la faremo tutti insieme, dateci la forza per farcela. Grazie.
Moderatore
Grazie Mimmo Mazza. Mi consentite una cosa. Noi e il Sindacato, come se fossimo due cose diverse, cioè il sindacato siamo noi, cioè c’è poco da fare, con tutti i limiti, ben inteso, però se ci mettiamo fuori, il Sindacato non c’è, cioè questa dicotomia francamente mi sembra un po’ curiosa perché è la base per non andare avanti, ecco detto in maniera molto pacata visto che poi i problemi di questa categoria ognuno li conosce sula nostra pelle, ognuno di noi magari i più vecchi hanno magari dieci anni di lavoro nero prima di essere assunti, ci sono quelli che sono stati prima di essere presi, hanno un passato, peripezie incredibili, quindi da questo punto di vista non è tanto stabilire le ferite che ognuno ha sulla schiena, quanto la capacità e la voglia di lottare soprattutto per quelli che vengono dopo, perché sennò non hai ragione di esserci stato tu. Questo è un po’, scusatemi questa breve digressione ma ognuno poi alle volte si sente. La parola per l’ultimo intervento di oggi e chiedo scusa a tutti i colleghi per gli interventi un po’ vessatori su questo però tutto sommato siamo riusciti a fare una ventina di interventi di dibattito oltre quelli istituzionali. E questo non è male. La parola a Bepi.
Bepi MARTELLOTTI
Sì, volevo cominciare raccontando un episodio giusto per alleggerire che adesso ritengo divertente, non lo era fino a qualche ora fa. Mi spiego. Sabato ho provato a collegarmi al sito dell’Associazione della stampa perché volevo con Nico Lorusso pubblicare il comunicato per annunciare l’avvio del congresso e ho trovato sulla home page del sito uno streaming che andava in onda di una ragazza che cantava alla Feltrinelli, c’era uno show case alla Feltrinelli ect., ci siamo interessati, alla fine abbiamo scoperto che ci sarebbe stato un tentativo di hackeraggio da parte di un hacker indiano che avrebbe addirittura postato “ Allah è grande” e che alla fine avrebbe comportato la necessità del tecnico di riprendersi il dominio del sito e di mettere in onda le prove di streaming con video precedenti, questo episodio diciamo che ci fa sorridere perché è ovvio che non credo che i terroristi dell’Isis si interessino dell’Assostampa puglia però mi ha fatto pensare molto, ne parlavamo ieri anche con Francesco Monteleone sulle nostra capacità di comunicare, alla fine proprio durante le ore precedenti del Congresso chi si collegava per sbaglio al sito dell’Associazione voleva sapere che cosa stava accadendo, trovava una cantante. Va bene, chiudo qui questo episodio divertente. In realtà devo dire che al netto delle cose che purtroppo siamo costretti a ripeterci e probabilmente lo farò anch’io, dicendo delle cose che ricordo di aver detto già al precedente congresso, sicuramente il dibattito di oggi è stato molto profondo e molto ricco da parte di tutti, da parte sia del delegati ma sia anche dei nostri ospiti e dei nostri relatori ed è stato un dibattito importante, noi probabilmente non ce ne rendiamo molto conto ma il fatto che siamo in una fase di transizione particolare e che il Presidente dell’INPIGi abbia in qualche modo salutato il suo incarico importantissimo di questi anni qui dalla Puglia, il fatto che Raffaele sia qui da Segretario della Federazione forse perché in qualche modo abbiamo partecipata sin dall’inizio questa cosa non ci dà molta consapevolezza ma sono momenti importanti della vita di un sindacato e non tutti i sindacati regionali hanno vissuto queste fasi che io considero di privilegio. Detto questo, io mi sono segnato, un po’ come ha fatto Francesco, due o tre parole chiave che in qualche modo tutti i relatori hanno ripetuto oggi e lo so per certo non parlandosi tra di loro, cioè Cerrato no aveva concordato il suo intervento con Camporese né Camporese sapeva che cosa avrebbe detto Raffaele, ci si è ascoltati a vicenda e si è parlato una unica lingua, già questo è il segno su cosa, su quali valori si cementa un Sindacato. Valentino ha parlato di difesa della dignità professionale, un concetto importantissimo questo e per fortuna abbiamo un Ordine che a livello regionale si è battuto concretamente per la difesa di questa dignità. Cerrato invece ha posto molto l’accento sulle divisioni e sulle debolezze che creano queste divisioni, poi ci torno su questi concetti. Credo Nino Abbate ma anche Massimo Melillo, hanno parlato di un sindacato che vive in qualche modo sorto attacco ed io mi chiedo sotto attacco di chi? Ci arrivo. Perché credo che tutti questi concetti di riassumano nella fase che stiamo vivendo ormai da molti anni che è una fase di profonda crisi che ha portato a delle profonde divisioni all’interno della categoria, alcune anche alimentate un po’ artatamente dai Vertici di questa categoria, è stato più volte citato il Presidente dell’Ordine ma io mi permetterei di citare anche qualche autorevole esponente della Federazione nazionale della stampa, perché si è insistito molto sul fatto appunto, i giovani contro i vecchi, i garantiti contro i precari, come se togliendo i diritti ad una parte gli si aumentasse dall’altra. Ovviamente non è così. Ovviamente non è così. Non è togliendo diritti ai precari che si tutelano i pensionati e non è togliendo i privilegi ai pensionati che si tutelano in precari, semplicemente ci sono delle operazioni che devono cercare d tenere un sistema insieme, unito, compatto perché altrimenti il sistema crolla, punto. Dopo di che se ci sono dei colleghi che sono particolarmente felici di andarsene nell’Inps e di avere delle rendite previdenziali ridotte del 21% rispetto a quello dell’Inpigi come ci ha spiegato bene Camporese, lo facciano, lo facciamo, cioè smettiamola con lo stillicidio interno. Io ho vissuto molto in prima persona in questi mesi perché coinvolto da Raffaele anche un po’ la vita della federazione e ve lo dico davvero con il cuore in mano, se c’è una cosa che mi fa da un lato imbestialire e dall’altro rattristare è il fatto che su alcune vicende interne alla vita del Sindacato veramente si sia esplicitato qual è poi l’obiettivo di alcuni, quello di guardare al proprio ombelico cioè fuori dal palazzo della federazione sta succedendo l’ira di Dio, sta succedendo l’ira di Dio, sta crollando il mondo, e pure c’è stato qualcuno che ha pensato bene che la scomparsa improvvisa di Santo Della Volpe, signor Presidente della Federazione nazionale della stampa, fosse l’occasione per piantare una bandierina e continuare a rivendicare una poltroncina da qualche parte, è come se questo avesse un valore. Io continuo a chiedermi, milito in questo Sindacato da qualche anno, continuo a chiedermi “ ma qual è questo valore? Ma dove sta questo potere?” cioè stamattina voi avete, sentito, sono venuti i Segretari regionali di CIgl, Cisl e Uil, stiamo parlando dei più grossi sindacati in Italia, non stiamo parlando del nostro piccolo Sindacato, tantomeno stiamo parlando del nostro piccolo Sindacato pugliese, 540 iscritti, siamo piccoli. I grandi Sindacati, fatevi raccontare da loro che cosa, qual è il vero potere che oggi hanno. Nelle scorse settimane Gianni Forte ha citato quel convegno a cui partecipammo come Associazione della stampa a proposito di quanto i giornali trattano i temi del lavoro. Ricordammo in quella sede che sono bastati 2- 3 twitt, quindi paliamo in totale di 120 caratteri, non stiamo parlando di un pezzo, sono bastati i 2- 3 twitt del presidente del Consiglio per cancellare anni di vita di Cgil, Cisl e Uil per seppellire, seppellire con 120 caratteri anni di battaglie sindacali dei più grandi Sindacati che ci sono in Italia, figuratevi quale forza occorrerà occorrerebbe per seppellire le battaglie del Sindacato dei giornalisti. Allora ha senso continuare a guardare dentro il proprio ombelico o ha senso forse, forse provare, provare a ricostruire una comunità giovani e vecchi, precari e redattori, non privilegiati, deskisti obbligati dietro la scrivania come ricordava Paolo Melchiorre prima a guardare i video, ad incollare, a riempire pagine negli ingombri lasciati forse dagli incassi pubblicitari e collaboratori super utilizzati a scrivere 25 pezzi al giorno? Cioè qual è il senso se non quello di ricostruire questa Comunità per renderla più forte, forse per renderla meno debole quando poi la tua controparte ti chiama e devi andare a discutere del futuro dei colleghi. Nei giorni scorsi Francesco ha accennato al documento che hanno fatti i collaboratori del Corriere del Mezzogiorno, io ho sentito di peggio, Francesco, ho sentito, il Cdr si è venduto i collaboratori del Corriere del Mezzogiorno. Peccato, peccato che nessuno sa o forse dimentica, perché lo sa, perché immagino che il Cdr abbia reso ben consapevole tutti di quello che stava accadendo nel giornale, che la controparte è una azienda che si chiama Rcs. Rcs ha dismesso un pezzo del suo patrimonio, sta vendendo pezzi del suo patrimonio, non sta dismettendo la piccola periferia di Bari. Quando il tuo interlocutore parte da questi presupposti, tu che fai? Non firmi un contratto di solidarietà che si chiama “ difensiva per questo motivo” per tutelare, provare a tutelare i posti di lavoro di chi sta dentro il giornale? Per dire “no, così salviamo tutti, salviamo i collaboratori, salviamo i redattori” e poi salta il giornale. E oggi, oggi che questo Sindacato è chiamato a fare una battaglia a tutela di quel giornale, che cosa deve fare? Continuare a dividersi tra precari e presunti privilegiati o forse andare da Rcs e dire “ non ti azzardare a sparire dalla Puglia”- perché questo è l’obiettivo- , “ non ti permettere di continuare a fare un giornale di otto pagine. Che significa? Che tu tra un anno non esisti, e se questo è il tuo obiettivo, me lo devi venire a dire al tavolo perchè io ti dirò di no, ti dirò che non hai diritto dopo 15 anni di storia di sparire da una Regione perché pregiudichi la libertà di informazione, il diritto di informazione di questa Regione. Lo si può chiedere questo a Rcs? Certo, se alle spalle c’è un Sindacato compatto. Se alle spalle ci sono colleghi consapevoli di che cosa sta accadendo e basta aprire la finestra delle proprie redazioni. Purtroppo anche molti dei miei colleghi della Gazzetta non lo fanno, Mimmo lo sa bene, aprire la finestra della propria redazione, affacciarsi e vedere che cosa sta accadendo nel mondo. Sta accadendo di ingegneri bilaureati che vanno a lavorare nei campi? Sì, sta accadendo, li conosco. Sta accadendo di laureati in Informatica che vanno a raccogliere i pomodori? Sì, ve li presento, vanno a fare gli stagionali nei campi, questo sta accadendo. Di che cosa stiamo parlando allora? Stiamo parlando di questo mondo o di un altro mondo che pensiamo continuerà a vivere sempre, che era il mondo dorato dei miei predecessori della gazzetta che vivevano nel ben godi e pensavano che si sarebbero continuato a vivere così? È questa la consapevolezza che dobbiamo assumere tutti, se la assumessimo tutti e se tutti non guardassimo al nostro ombelico, ai posticini, agli assetti, alle organizzazioni, se tutti quanti in Federazione avessero sostenuto in questi mesi il processo riformatore portato avanti da Raffaele, di innovazione dell’azione sindacale, probabilmente tutti sarebbero stati più forti. No. Tempeste in bicchier d’acqua, le procedure, la Fiag che ha disdettato il contratto, amene discussioni in redazione con i soloni che conoscono tutte le procedure di questo mondo senza rendersi conto che era una semplice procedura tecnica tra due interlocutori che si sederanno ad un tavolo e discuteranno di un difficilissimo rinnovo contrattuale. Punto. Tempeste in un bicchier d’acqua. Con quale scopo, non lo so. Torniamo a noi, torniamo alla Puglia, ho parlato del Corriere del Mezzogiorno, ovviamente potrei parlare della Gazzetta, potrei parlare dei tanti giornali che sono stati citati, che sono spariti, tra gli altri ricordo anche “ Paese nuovo”, un’altra cooperativa che è finita nel nulla e cito “ Taranto buonasera” visto che le nuove vesti non stanno cambiando gli atteggiamenti dell’editore in quanto i pagamenti degli stipendi ma merita un ragionamento l’emittenza radio televisiva perché oggi è 30 Novembre e tra tre giorni scade un bando assai significativo fatto dal Ministero con il quale ci sarà la cessione delle frequenze. Di 34 emittenti, probabilmente troppo per il nostro mercato ma questo lo ha ricordato per tanti anni Raffaele, di 34 emittenti resteranno soltanto sei frequenze disponibili il che significherà ovviamente che molte emittenti saranno costrette a cedere la propria frequenza per fare cassa e sopravvivere oppure ad attaccarsi a quella più forte per poter continuare a trasmettere qualcosa. Questo è un fatto che di qui ad un anno porterà ad un cambiamento radicale nel nostro sistema radio televisivo privato ed è un altro fatto che, emittenti che finora sono vissute aggrappandosi agli ammortizzatori sociali, non lo potranno fare più perché sono cambiate anche le regole di accesso agli ammortizzatori social, i periodi nei quali potranno accedere. Di conseguenza siamo arrivati ad un momento di svolta nel quale o sei editore vero o investi o davvero ci credi in quello che fai o se sei un pirata che ha messo in piedi la piccola televisione perché doveva vendere tappeti, raccogliere di qua e di là pubblicità e fare un finto telegiornale come purtroppo è accaduto e come purtroppo è accaduto per una storica emittente televisiva quale Antenna sud, muori. È una svolta epocale, non so se, come posso dire, vedo il lato positivo, il bicchiere mezzo pieno di questa svolta che accadrà per le nostre televisioni. In questo quadro come affrontare, come svolgere il nostro ruolo del Sindacato? È questo quello che io continuo sempre a chiedermi richiamandomi sempre a questo principio delle debolezze di cui parlavo prima. Una delle fortune che abbiamo in eredità e che ci lascia Raffaele è quella di un rapporto assolutamente stretto e sinergico con l’Ordine dei Giornalisti al di là delle battaglie su Facebook tra pensionati inviperiti, Presidenti dell’Ordine, il Segretario della Federazione ect., al di là di questo abbiamo la fortuna di avere un sistema compatto nella nostra Regione e dobbiamo provare a tutelarlo, a preservarlo anche per il futuro per cui anche se ci sarà un rinvio dettato dalla riforma del rinnovo dei Vertici dell’Ordine, dobbiamo continuare a fare squadra, è l’unica strada di salvezza che abbiamo. Questa eredità ci porta a fare delle battaglie concrete per la dignità della tutela professionale, penso alla revisione dell’Albo che ha fatto l’Ordine dei Giornalisti, credo unico in Italia o forse in compagnia di un altro paio, ma di una portata storica e questo fa il paio con le battaglie che poi facciamo noi all’interno della nostra categoria perché, e qui torno ad una cosa che ricordo di aver detto già al precedente congresso, ovviamente auspicando che le cose cambiassero ma purtroppo le cose non cambiano così velocemente, per quale motivo un dentista o un avvocato che saltuariamente decide di scrivere ogni tanto qualche bell’articoletto per il giornale può iscriversi alla mia categoria professionale? Se io domani con Mimmo Mazza aprissi uno studio dentistico senza conoscere i ferri del mestiere, cominciassi ad esercitare e a far finta di esercitare per hobby quella professione, non verrei cacciato a calci in culo dall’Ordine dei Dentisti? Anzi verrei anche denunciato forse. E allora voglio dire, qual è la battaglia se non quella appunto di tutelare la nostra dignità professionale? Cioè di fare in modo che gente come Alessandra Cavallaro che invece questo mestiere lo ha scelto ed è una scelta di vita, non è un hobby, non è un passatempo, non è un diletto, possa continuare a farlo. E come impedirlo, e come impedire che altre persone che invece questo mestiere lo concepiscono come hobby ammantandosi dietro la libertà di espressione dell’articolo 21 della Costituzione, possano esercitare come caspita vogliono e pure iscriversi all’Ordine ? come arginare, lo traduco, un mercato che sia tradotto, non i collaboratori a 5 Euro a pezzo, i collaboratori ad 1 Euro a pezzo, perché la Gazzetta continua ad applicare la tariffa onerosissima di 5 Euro 30, credo, netti ma ci sono giornali in Italia che stanno pagando i collaboratori 1 Euro a pezzo, cioè neanche il costo di una telefonata. Come si fa ovviamente? Come si fa nel momento in cui è stato drogato il mercato in questa maniera pazzesca per cui dietro i Valentino Sgaramella, dietro i collaboratori tal dei tali della gazzetta piuttosto che di altri giornali, non ci sia un esercito di gente che sia disposta perfino a farlo gratis tanto “ ho il mio mestiere di avvocato, tanto faccio il dentista, ce me ne frega di guadagnare da questo lavoro?” come si fa? Si fa sedendosi ai tavoli, ragionando con gli editori e vincolandoli, lo ha fatto la Federazione, Raffaele era già in Giunta, vincolandoli ad una assunzione ogni tre esodi, così la finiamo di mandare via le persone dai giornali e non facciamo il turnover. Io sto alla Gazzetta, uno degli ultimi assunti sono io, sono passati 16 anni. è una roba che a raccontarla, voglio dire, a raccontarla negli Stati Uniti è una roba che si metterebbero a ridere, si metterebbero a ridere. Allora finiamola con questa storia. Mandi via le persone in pre pensionamento, se ci riesci, ovviamente sappiamo che la situazione per ora è bloccata, sappiamo che il Governo non ha nessuna intenzione di erogare quei fondi alle condizioni attuali, cioè a58 anni e 18 minimo di contributi, sappiamo che la 416 verrà riformata, dopo di che quando questo processo partirà, che la smettano di mandare fuori dai giornali i colleghi senza far entrare nessuno ai giornali, che si applichi il sacrosanto principio del turnover. Così chi sta fuori dal giornale ed è disposto ad ammazzarsi guadagnando 1 Euro a pezzo, forse ci mette un piede dentro e la finiamo. Allargare la platea ovviamente dei collaboratori con la revisione dell’articolo 2, come ci ha accennato Raffaele, queste sono le battaglie da fare e le fai sedendoti ai tavoli e discutendo. Se ti vai a sedere al tavolo come ho detto prima, di una azienda che ti dice “ ma sai, io dalla Puglia non ci guadagno più di tanto, che cosa me ne frega che per 15 anni ho tenuto il mio giornale, ho fatto le mie raccolte pubblicitarie, se volete è così sennò ciao e sei un sindacato debole” probabilmente quelle battaglie non le riesci a fare. In questo purtroppo non siamo aiutati da un fattore, lo hanno ricordato in molti, che si chiama “ internet” perché ovviamente il vasti e variegato mondo del multimediale che è stato analizzato approfonditamente per anni dagli editori i cui risultati evidentemente o quelle analisi non funzionavano perché fino a qualche anno fa ci dicevano “ ma tanto morirete tutti, non esisteranno più i giornali su carta, trasferiremo tutto sull’web, anticipiamo le chiusure dei giornali tanto che ci frega? Aggiorniamo tutto sul sito, ma che cosa me ne frega aa me di fare la pagina di approfondimento di inchiesta sul tal tema? Tanto lo mette su Internet. “ Internet in realtà è una bolla che è esplosa pure nelle loro mani perché adesso la concorrenza, non voglio parlare dei grandi siti ovviamente, non ha alcun senso, ma diciamo, per stare alla nostra realtà la concorrenza alla Gazzetta del Mezzogiorno la fanno 800 siti comparsi in 800 realtà improvvisati da chiunque, senza neanche registrando in tribunale decide di mandare due notizie dal suo piccolo Comune e magari di mandarle come vuole lui, magari di mandarle con una improvvisato cronista che va in giro con il telefonino imitando Le Iene, pensa di fare i grandi scoop e le grandi inchieste. E questa bolla gli è esplosa in mano agli editori perché gli editori non avevano immaginato questa situazione, non la immaginavamo neanche noi ovviamente, non immaginavamo che Facebook piuttosto che altri Social network avrebbero seppellito una parte del nostro mestiere. Quello che potevamo immaginare forse, forse e che potevano immaginare i nostri editori se si fossero fermati a pensare e avessero continuato a fare gli editori, poi concludo proprio su questo punto, forse quello che potevano ad immaginare è che i giornali andavano ripensati, andavano ristudiati alla luce di quanto stava accadendo nel vasto mondo di Internet. Probabilmente andavano fatti dei giornali di approfondimento e di riflessione di inchiesta perché le notizie le sai già dal giorno prima o le sai in tempo reale accendendo un qualsiasi notebook o tablet ovunque tu sia, non lo ha fatto nessuno. Non lo ha fatto nessuno. Ci ha provato per un periodo Repubblica, non so se ve lo ricordate, c’è stata una fase in cui usciva con queste grandi impaginate di approfondimenti poi hanno tastato il terreno e hanno capito che il target probabilmente non era quello giusto e hanno ripreso a fare il giornale che facevano prima, ma io altri tentativi di ripensamento nelle nostre realtà non le ho viste, non le ho viste nel quotidiano di Puglia, non le ho viste alla Gazzetta del Mezzogiorno, quindi probabilmente agli editori in fase di rinnovo contrattuale e di tutti quei sacrosanti obiettivi che Raffaele ci ha illustrato, probabilmente gli andrà chiesta fondamentalmente una cosa “ volete continuare a fare gli editori?”, perché questa poi è la drammatica realtà con cui ci scontriamo. Io negli ultimi tempi per mia piccola esperienza, comitato di redazione della Gazzetta, i tavoli che abbiamo fatto per l’Associazione della stampa, io mi trovo sempre di fronte a gente che ha un solo obiettivo e te lo illustra proprio in maniera papale, io devo chiudere il bilancio in pareggio”. Punto. Io i conti devo tenere a posto, non me ne frega nulla. E i conti vanno tenuti a posto non per garantire la sanità dell’azienda editoriale, attenzione, è per garantire i conti delle altre società. Perché il mio editore ha 31 società, 31, che cosa volete che gliene fotta della gazzetta del Mezzogiorno? Gli interessa avere la Gazzetta del Mezzogiorno perché la gazzetta è un ottimo travaso di bilanci e di conti per mettere a posto i bilanci delle altre 30 società. Gli serve come ponte per scaricare le passività da una parte all’altra e questo discorso non vale per il mio piccolo Editore di Catania, vale per le banche che gestiscono Rcs, vale per le aziende dell’energia che impegnano De Benedetti e famiglia, vale per tutti. Allora probabilmente qui in Puglia proveremo a farlo tutti insieme ma andrà fatto anche a livello nazionale, si può chiedere agli Editori “ volete continuare a fare gli editori o no? Perché se invece il vostro obiettivo è fare tutt’altro nella vita e utilizzare queste piccole società come l’ultimo avamposto della periferia del mondo, perché questo sono diventati i giornali, si sono marginalizzati perché non sono più principale attività imprenditoriale, un tempo forse servivano a spostare l’opinione pubblica, servivano a creare consenso, oggi non gliene frega più niente a nessuno. Non gliene fotte più niente a nessuno. Perché non gliene frega più niente a nessuno? Perché ci sono imprenditori che sono in tutt’altra faccende affaccendati. Perché siamo marginalizzati noi come giornalisti? Perché lavoriamo in aziende che sono aziende margine, non sono il co..r business, non sono più nulla, sono uno strumento che nelle migliori delle ipotesi ti serve a raccogliere un po’ di pubblicità. Fine. Dopo di che se sta lo spazio per l’articolo di Beppe …, mettiamolo, sennò che cosa me ne frega a me? Mica devo fare informazione io! Ecco perché la battaglia che dobbiamo fare, la battaglia sulla identità di cui diceva Paolo prima a proposito del nostro lavoro, la battaglia che dobbiamo fare ai tavoli, stare uniti innanzitutto e chiedere alla nostra controparte di essere imprenditori dell’informazione perché noi siamo operatori dell’informazione., rivendichiamo con orgoglio di esserlo e vogliamo che i nostri interlocutori siano imprenditori del nostro settoe, vogliamo che i nostri operatori siano operatori del nostro settore, non siano avvocati e dentisti, vogliamo che questo mestiere continui a vivere per garantire il diritto dell’informazione a tutti i cittadini che devono avere il sacrosanto diritto di leggersi ogni giorno la Gazzetta del Mezzogiorno ma anche di leggere il Corriere della sera che sia un giornale degno di essere chiamato tale in Puglia come lo è stato per 15 anni. Io ho finito, concludo così e permettetemi soltanto di lanciare un appello, forse è inutile perché so che ha risposto alle telefonate di Teleblu perfino quando stava alla Cerimonia del Ventaglio con il Presidente Mattarella, io imploro Raffaele di non mollarci. Ho finito.
Moderatore
Grazie a Bepi. Un’ultimissima cosa. Io chiedo un po’ di pazienza ai colleghi per un ultimissimo intervento di Raffaele, visto che abbiamo il Segretario nazionale, almeno lo sfruttiamo, scusi. No, ma più che replica, è un intervento.
Raffaele LORUSSO
Assolutamente non sarà una replica la mia anche perché avrei poco da replicare in una platea, in una assise dove c’è una identità di vedute e di sentimenti che si è creata nel corso degli anzi una comunanza anche si sono create frequentazioni fuori dagli ambiti quindi ho ben poco da dire se non da ringraziare e da precisare semmai alcuni passaggi. Che cosa voglio dire? È chiaro che noi siamo, parlo della mia generazione, guardo Francesco, guardo Bepi, guardo Mimmo Mazza e poi purtroppo devo guadare però quelli che stanno dietro di me e cioè sono tanti e non so se potranno avere le certezze che nonostante tutto noi ancora abbiamo, noi siamo quelli chiamati a governare una transizione sulla quale delle risposte definitive e delle risposte convincenti non sono arrivate in nessuna parte del mondo cioè in nessuna parte del mondo oggi c’è chi ha trovato la formula giusta in un quadro di rivoluzione tecnologica e digitale permanente la formula giusta non l’ha trovata nessuno, non l’ha trovata il New York times, non l’ha trovata il Gardian a Londra quando 3 o 4 anni fa decise di espellere dalla carta tutta la cronaca per trasferirla sul web dedicando appunto il giornale di carta agli approfondimenti, il Gardian è tornato indietro. Il modello vincente non ce l’ha nessuno. Noi siamo in Italia chiamati a muoverci in una situazione ancora più difficile perchè noi non abbiamo a che fare a differenza che in altri paesi con editori puri, editori puri in Italia non ci sono e se ci sono, sono molti piccoli, hanno un ruolo molto marginale all’interno del mercato, non possono determinare o influire su nessun tipo di equilibrio, questa è l’anomalia italiana. L’anomalia italiana è questa, l’anomalia italiana è quella di un settore e mi riferisco all’emittenza pubblica, alla emittenza radio televisiva privata che per anni, e lo devo dire, lo devo ridire, anzi l’ho detto più volte, è stato drogato, è stato letteralmente drogato dai finanziamenti pubblici a pioggia molte volte stimolati da una classe politica locale che aveva la necessità di coltivarsi la televisione dietro casa perché poi quando tornavano il fine settimana da Roma c’era la televisione che lo doveva aiutare a mantenere il Collegio, a curare il Collegio, è successo anche questo. Noi anche a livello locale fatte salve poche eccezioni, ci siamo scontrati con gente che uno, anche quando di soldi ne giravano parecchi non si è mai posto il problema, dice “ ma, io voglio creare una azienda, provo a creare un capitale sociale, un patrimonio”, niente, zero. Ci sono state inchieste nella Magistratura che hanno dimostrato che qualcuno con quei soldi ha incrementato il proprio patrimonio privato, quindi è successo questo anche in questa Regione, quindi noi ci dobbiamo muovere in una realtà di questo tipo, ci dobbiamo muovere con leggi in un quadro normativo che, diciamocelo, è antiquato, qui è c’è stato il rosario di lamentele nei confronti della legge ordinistica, quella è una legge che fotografa la situazione al 1963 quando i giornali si facevano con il piombo, si usciva dalle redazioni più o meno alle 3 di notte, esisteva solo un canale RAI, esisteva soltanto un canale Rai, non c’era niente, non c’erano i computer, non c’era niente, quindi quella legge fotografa quella situazione. Aldo Moro e Guido Gonnella quando istituirono, pensarono all’elenco dei pubblicisti avevano ben chiara una figura, avevano ben chiaro la figura del grande intellettuale, pensavano a Benedetto croce, ecco, diciamocela tutta, all’epoca. Oggi il pubblicista chi è? Oggi il pubblicista è il salumiere dietro casa. Allora se non prendiamo atto di questa situazione e su questo purtroppo le leggi non le facciamo noi, abbiamo bisogno chiaramente dell’aiuto del Parlamento, dobbiamo tenere conto di come si è evoluta la società e dobbiamo tener conto di come si è evoluto il mercato. La legge 416, l’ho detto stamattina, è inutile qui ripeterlo, la legge 416 per il 1981 era qualcosa di molto avanzato però stiamo parlando del 1981. La sentenza di Tele Biella, quella che ha liberato le trasmissioni in diretta sul territorio nazionale è del 1984. Nel 1981 il capo del Governo si chiamava Giovanni Spadolini, qualcuno se lo ricorda? E sono passate delle ere, quindi bisogna chiaramente aggiornare il quadro normativo e portarlo al passo con i tempi. Noi ci proviamo, ci proviamo anche perché voglio dire, fermo restando che sul contratto si può litigare, però quando si parla con il Governo siccome si lavora entrambi nello stesso settore, si deve provare a ragionare insieme con la nostra controparte contrattuale che è la Fieg, ci stiamo provando ad avere una interlocuzione comune con la Fieg, con il Governo per spingere il Governo non ad aprire i cordoni della borsa, ad allargarli perché non è quello il tema, è a creare un quadro normativo che sia più coerente con i tempi, a mettere mano a tutta una serie di riforme di cui questo settore ha urgente bisogno. Dopo di che è chiaro che l’attività sindacale sui territori a livello nazionale non può che quotidianamente porsi anche il problema di come si affrontano le emergenze, una per tutte perché è stata citata più volte, il Corriere del Mezzogiorno, allora scusate però qua io lo voglio dire chiaramente perché forse mi rendo conto che è facile speculare e gettare la croce addosso a chi quella trattativa l’ha fatta. Allora qualcuno deve sapere, se non lo sa, che siamo partiti da un giornale e quindi una Redazione che era ferma, volontà dell’azienda, chiudere. Il Corriere del Mezzogiorno Puglia era chiuso, sarebbe stato chiuso a partire dal 1 Novembre del 2015. Dopo di che ci si è seduto al tavolo, la Redazione si è fatta carico di sacrifici notevoli, dopo di che l’azienda ha detto “ scusate, la coperta è questa, io con questa coperta che devo comunque rifilare, riesco a malapena ad assicurare un tozzo di pane molto più piccolo alla Redazione, non posso pagare i collaboratori, non ho più badget per i collaboratori”. Chiaro? Allora quei colleghi lì, molti di quelli hanno acquisito molti diritti, e però scusate colleghi, qua ce lo possiamo dire perché quella vicenda insieme con il Cdl l’ho gestita io, negli ultimi tre anni con quei colleghi collaboratori che oggi sono fuori non so quanti incontri abbiamo fatto, non so quante riunioni abbiamo fatto, è stato spiegato bene a loro che “ guardate, non è che un giornale”, dalle nostre parti si dice “ non è la cantina di Ciannacian.., no – cioè dove uno entra e dice, poi si vede”. No, un giornale soprattutto un giornale che fa parte di un gruppo quotato in Borsa, ha degli equilibri economici finanziari che deve rispettare quindi non pensiate, è stato detto più volte, Vito Fatiguso.., Francesco Strippoli, quante volte, l’abbiamo detto? – non pensiate che l’organico del Corriere del Mezzogiorno possa crescere a dismisura perchè comunque dovete fare i conti con il mercato, dovete fare i conti con le copie che vendete. Quindi se pensate, siccome siete in cinque, se pensate che l’organico possa passare da 16, all’epoca eravate 16, da 16 a 21 persone, o se qualcuno vi ha detto questo, state sbagliando di grosso perché questo non avverrà. E allora che cosa possiamo fare? Da una parte spingere sul’azienda perché quantomeno si faccia carico della vostra situazione e cerchi anche di spostarvi in qualche altra realtà a livello nazionale, dall’altra però attenzione, avete maturato dei diritti individuali e i diritti individuali vanno fatti valere da chi li ha maturati. Allora se qualcuno si era illuso che il Sindacato potesse agire in giudizio, perché di questo si trattava, questo c’è stato chiesto, e agire in giudizio per farli assumere e il Sindacato non può agire in giudizio per tutelare i diritti individuali. Può sicuramente assistere e noi lo abbiamo fatto non soltanto in quel caso ma in tantissimi altri casi e qui molti possono testimoniarlo, poi assistere con i propri legali quindi gratuitamente, coloro che decidono di far valere in giudizio dei diritti individuali. Questa è l’ABC. Quindi se qualcuno poi oggi vuole speculare, faccia pure però ripeto, stavamo, stiamo parlando di un giornale che era stato chiuso perché siamo partiti dalla chiusura, 16 persone, articolo 1, a casa. Siamo partiti dalla chiusura, l’abbiamo riacciuffata per i capelli, dopo di che bisognava fare casino, bisognava mobilitare le istituzioni, stiamo parlando di un gruppo che ha chiuso quanti settimanali? Una trentina? Ha chiuso una trentina di settimanali, li ha chiusi, stiamo parlando di un gruppo che non si è fatto problemi quando si è trattato di vendere la storica sede di via Solferino. Sapete che cosa è il palazzo del Corriere della sera di Via Solferino a Milano? È la Scala del giornalismo. Se lo sono venduti perché dovevano rientrare nei costi. Allora ormai le aziende ragionano così. Quindi chiedere al Sindacato di fare i miracoli, noi sì, voglio dire, abbiamo fatto anche l’impossibile però per i miracoli bisogna rivolgersi, dico sempre, sapete dove si trova la federazione, dall’altra parte del Tevere, l’altra sponda del Tevere, andate lì, insomma qualcuno vi può ascoltare sui miracoli anche perché poi per quanto mi riguarda ad impossibilia nemo tenetur. Quindi detto questo, non mi dilungo oltre, dico soltanto che io non posso che rinnovare i ringraziamenti a tutti, visto che molti mi hanno salutato, non c’è da salutare nessuno perché io non me ne vado, io resto iscritto al Sindacato, resto e sono iscritto al Sindacato in Puglia, è folle secondo me immaginare che possa esistere una Associazione regionale che cammini al di fuori di quella che poi è la grande famiglia della Federazione nazionale della stampa, stiamo tutti quanti insieme quindi svolgiamo comunque la stessa attività, la svolgiamo a livelli diversi, chiaramente ogni qualvolta avete e ci sarà bisogno anche dell’intervento della Federazione, la Federazione è a disposizione della Puglia così come è a disposizione di tutte le altre Regioni, non soltanto gli organi politici ma anche gli organi tecnici della Federazione sono pronti ad assistere tutti quanti. E che altro vi devo dire? Vi devo dire soltanto che per quanto mi riguarda io conservo lo stesso numero di cellulare che è stato il primo cellulare che ho comprato, quindi 1996, mi hanno dato quel numero, non l’ho più cambiato quindi continuo ad utilizzare quel numero, continuate tranquillamente ad utilizzarlo, io l’ho utilizzato anche quando al giornale mi hanno dato il telefonino di servizio però quel numero è sempre mio quindi io rispondo a quel numero, a quello del giornale non rispondo perché ce l’ho spento in questo periodo. Dopo di che poi, chiamiamoci, noi in questi anni abbiamo lavorato tanto e abbiamo lavorato tutti quanti insieme, abbiamo costruito una bella squadra, mi ricordo le corse che abbiamo fatto a Foggia con Nino Abbate piuttosto che a Taranto e nel Salento con Mimmo e con Marco, con Massimo, lo stesso Vincenzo Sparviero, li rivedo tutti quanti, mi ricordo tutte le giornate che abbiamo passato in associazione con Bepi, con Francesco, con tanti altri colleghi, siamo tutti quanti qui, continuiamo a stare tutti qui però io vorrei ripetere e veramente concludo e tenetevelo bene a mente perché io questo che sto per dirvi, lo ripeto sempre a me stesso, quindi vorrei che lo faceste anche vostro perché questa è veramente la mia filosofia di vita e quindi vorrei che rimanesse scolpita nella mente di tutti, per quanto mi riguarda siamo tutti utili ma di persone indispensabili sono pieni i Cimiteri. Grazie.
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Grazie e appuntamento domani alle 10,00.